mercoledì 13 maggio 2009

Hanif Kureishi e la città storta

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Ho scovato questo articolo dello scrittore anglo-pachistano Hanif Kureishi uscito per The Guardian il 24 gennaio 2009, all'indomani di un suo viaggio a Venezia con la famiglia: Harry's Bar, gruppo ska alla Giudecca (sicuramente Ska-j) e due chiacchere con la figlia di Arnold Schömberg... Mi sembrava carino e ho pensato di proporvelo (potete anche leggerlo nella sua versione originale in inglese entrando qui). Ciao.
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Per provare il brivido dell'avventura, quest'anno abbiamo deciso di andare fino a Venezia. Negli ultimi tempi eravamo diventati refrattari ai viaggi. Le ultime vacanze le abbiamo passate a Watford, a venti minuti da casa. Tanto valeva fare i pendolari. Così questa volta siamo andati a Parigi con l'eurostar, poi abbiamo preso la metropolitana fino alla Gare de Bercy e infine siamo saliti su un altro treno e abbiamo viaggiato tutta la notte. Ho preso due sonniferi e mi sono infilato, vestito, sotto la coperta leggera della cuccetta. Una volta sdraiato ho riflettuto su quanto sia piacevole osservare dal finestrino il panorama e le luci che sfrecciano. Al risveglio eravamo già a Venezia e il treno stava quasi per scaricarci nel Canal Grande.
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Non ero mai stato a Venezia d'inverno: ha una bellezza diversa, austera e fresca. La giornata era splendida e al ponte di Rialto c'era un negozio che vendeva souvenir dei Beatles, uno dei miei preferiti. Le persone mangiavano all'aperto e per fortuna non c'era traccia dell'alluvione di dicembre, la peggiore che ha colpito la città, dopo quella del 1966. Al telegiornale avevo visto un uomo che attraversava piazza San Marco in canoa, mentre la gente avanzava immersa nell'acqua fino alla cintura. E come se non bastasse, c'era anche lo sciopero dei trasporti.
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Il nostro albergo, a Palazzo Barbarigo, aveva le luci basse, come usava negli anni Ottanta. Sembra uno di quegli eleganti alberghi newyorkesi progettati da Philippe Starck, dove non ci sono le linee rette e per orientarti hai bisogno di una torcia anche quando le luci sono accese. Però ha dei pavimenti perfetti per un bambino che vuole pattinare sui calzini. Io e mia moglie temevamo che nostro figlio Kier non avrebbe avuto abbastanza distrazioni in una città che è un museo acquatico a cielo aperto. Invece Kier saltellava contento nelle sue crocs. Venezia offre shopping, acqua e gite in barca. Senza contare i piccioni che in piazza San Marco si posano sulla testa dei bambini.
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La città gli è piaciuta moltissimo. E anche lui è piaciutoa tutti. Sui vaporetti, per strada e nei caffè i veneziani gli hanno offerto di tutto: rose, dolci, aeroplanini di carta, penne e baci affettuosi. Un ragazzino di dieci anni curioso e vivace, che ha ancora la simpatia di un bambino senza l'agressività di un adolescente, è il compagno di viaggio ideale. Così io e lui siamo andati a chiaccherare all'Harry's Bar, dove i camerieri gli hanno preso la giacca e gli hanno servito patatine e gelato. Il locale è sempre elegante, affollato, frequentato da molti scrittori. Ma ormai gli autori devono farsi accompagnare dal loro editore se vogliono avere qualche possibilitàdi pagare il conto.
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Anni fa, un mio amico, che non conosceva bene l'inglese, pensava che la traduzione del saggio di John Gray Men are from Mars, women are from Venus, fosse: gli uomini vengono da Marte, le donne da Venezia (Venus in inglese significa Venere). Le donne di Venezia, però, sono soprattutto delle anziane signore impellicciate, probabilmente vedove, il più delle volte accompagnate da cani piccolissimi. In giro ogni tanto si vedono anche dei bambini, ma sembra che in città non ci siano adolescenti. Forse risparmiarsi la loro esuberanza può avere lati positivi, ma per altri versi è un po' strano. Senza i giovani che futuro può avere una città il cui fascino deriva dall'eterno declino? Dalle scritte sui muri intuisco che ci sono dei ragazzini in giro, ma fino a sera non se ne vede nessuno. La mia amica e pittrice Serena Nono vive sull'isola della Giudecca nell'appartamento in cui lavorava il padre, il compositore Luigi Nono. Quando piazza San Marco è troppo affollata e claustrofobica, quasi tutti i giorni dell'anno, conviene prendere il vaporetto e rifugiarsi su quest'isola, che è a soli dieci minuti dal cuore della città.
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Serena vuole mostrarci un'altra faccia di Venezia. ''Ricordatevi che in questa città tutto è storto'', ci ha detto indicando per terra e poi in direzione dei palazzi. Una sera, seguendo il suo consiglio, io e Kier abbiamo preso il vaporetto e l'abbiamo raggiunta alla Giudecca. I vaporetti passano tutte le ore della notte e sono molto piacevoli, come autobus che navigano tra antichi palazzi galleggianti. Quella sera però era buio e faceva freddo e in giro non c'era nessuno. Io e Kier ci siamo chiesti se ci fosse veramente qualcosa di interessante da fare, visto che per strada c'era solo un pachistano disperato che ci ha venduto una penna laser e un paio di occhiali luminosi. Almeno con questi riuscivo a vedere mio figlio. E comunque, anche se trasuda un senso di minaccia e morte, Venezia non è una città violenta. E una delle cose migliori da fare lì è perdersi. Avevamo appuntamento con Serena vicino alla fermata delle Zattere, dove c'è un ex magazzino occupato. Un gruppo di persone beveva vin brulé, fumava, giocava a biliardino e dava da mangiare ai cani. Una band ha intonato le cover di Elvis e la gente si è alzata e ha cominciato pian piano a ballare elegantemente il twist. Nel frattempo su uno schermo venivano proiettati dei film in bianco e nero anni cinquanta. Kier si è piazzato davanti al palco ed è rimasto in piedi a guardare. Credo che fosse la prima volta che sentiva Heartbreak Hotel e Hound Dog. Poco dopo sono state proiettate anche le opere di Serena, mentre sul palco cominciava a suonare un gruppo ska. Era talmente tanto tempo che non sentivo un bravo gruppo ska (con tanto di sassofonista e trombonista rasta) che ho cominciato a muovere il corpo seguendo il ritmo della musica, ma tenedo fermi i piedi.
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Ska-j

Kier era ancora in prima fila, con la gente che saltava da una parte all'altra. Una ragazza adolescente lo ha preso per mano e gli ha fatto fare la giravolta. Era quasi mezzanotte quando l'ho trascinato fuori dal locale. La Giudecca, un tempo casa di Michelangelo e Alfred de Musset, e oggi di Elton John, è bella anche di giorno. Serena ci ha portato a visitare il suo studio in una ex distilleria, dove un mese prima aveva trovato i suoi quadri che galleggiavano nell'acqua. Quando li abbiamo visti erano tutti asciutti e sistemati ordinatamente controle pareti.

un quadro di Serena Nono

La vita a Venezia è costosa perchè ogni cosa deve essere trasportata con le barche. Ma chiunque può concedersi una cioccolata calda con panna passeggiando dalla tetra prigione femminile fino al semideserto Hotel Hilton, dove ci si può sedere sulla terrazza e godersi la vista più bella della città. Aveva ragione Jan Morris, quando diceva nel suo magistrale Venezia, pubblicato nel 1960: ''Questa non è una città grande. La si può abracciare interamente con losguardo. Lunga tre chilometri e mezzo, la si può percorrere a piedi dal mattatoio a nordovest fino ai giardini pubblici a sudest, in un'ora e mezza''.
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Per noi era fondamentale capire dov'è che si mangia la pizza più buona. Per fortuna, a dieci minuti dall'albergo c'è Campo Santa Margherita, a Dorsoduro, uno dei sestrieri di Venezia. Una serie di trattorie all'ombra degli alberi punteggia la piazza. La mattina c'è il mercato del pesce. In un bar abbiamo incontrato un attore, un uomo distinto che somigliava a Fernando Rey. Anche se non parlava l'inglese né io italiano, ci ha invitato insieme a Serenaa casa sua per il giorno dopo, la notte di capodanno. Ci abbiamo pensato un attimo. Sembra un po' strano presentarsi a casa di una persona appena conosciuta, per quanto gentile, l'ultimo dell'anno. Ma che altro potevamo fare in una città che non era la nostra? In albergo avevano organizzato un veglione, un'alternativa un po' impersonale. Alla fine, quindi, abbiamo comprato una bottiglia di prosecco e ci siamo presentati da Rey. Era una cena a base di pesce, squisita e accogliente. C'erano altri bambini ed eravamo tutti seduti intorno a un piccolo tavolo. L'attore ha tirato fuori i suoi album degli anni sessanta, ha messo su un disco gracchiantedei Rolling Stones e io e lui, due perfetti sconosciuti, ci siamo messi a ballare insieme. Dopo un po' ho ritrovato Kier all'aperto, in riva al canale, con una stella di natale in mano, ipnotizzato da una ragazza italiana dai capelli lunghi. Mentre il mio tasso alcolico saliva, Nuria, la madre di serena, originaria di Berkeley e figlia del compositore Arnold Shönberg, mi ha raccontato una serie di aneddoti sulla sua infanzia: la sua famiglia che andava a cena da Thomas Mann e lei che giocava in giardino con altri bambini. Oppure la lunga attesa per una visita di Bertold Brecht.
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Poi, come in una scenografia che sembrava preparata apposta per noi, verso le undici e mezza ha cominciato a nevicare. A mezzanotte sono partiti i fuochi d'artificio da piazza San Marco. La vista era perfetta, con i razzi che esplodevano nella neve sempre più fitta. Le coppie in casa ballavano e si abracciavano.
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Abbracciare gli sconosciuti non mi dispiace, se sono italiani. Sembra quasi una scena di Fanny e Alexander. Bagnati e con le teste imbiancate, ci siamo infilati sul vaporetto affollato, mentre le campane della città suonavano a festa. Al bar dell'albergo un cameriere mi è venuto incontro con un vassoio su cui c'erano una torta al cioccolato a due piani e un enorme bicchiere di vodka. Dopo i cinquant'anni i piaceri diventano più rari, ma si aprezzano di più.

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Mi piace pensare di essermi svegliato la mattina dopo con il bicchiere di vodka ancora in mano.
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Hanif Kureishi è nato a Londra nel 1954 da padre d'origine pachistana e madre inglese. Dal 1985 scrive romanzi, opere teatrali e sceneggiature per la televisione e il cinema. Il suo ultimo libro è Ho qualcosa da dirti (Bompiani, 2008)

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