mercoledì 22 dicembre 2010

Il Nuovo Giardino Magnetico presenta... ''Gospel Variations''




TRACKLIST

01 - MAHALIA JACKSON - You Must Be Born Again 
(Da: Gospels, Spirituals & Hymns - Columbia, 1991)
02 - R.H. HARRIS - Never Turn Back 
(Da: Precious Lord: Songs of Thomas a Dorsey - Sony, 1994-Ant.)
03 - BESSIE GRIFFIN - Search Me Lord 
(Da: Precious Lord: Songs of Thomas a Dorsey - Sony, 1994-Ant.)
04 - CLARA WARD - I'm Packin' Up 
(Da: Take My Hand Precious Lord - Mca, 1996-Reissue)
05 - ABYSSINIAN BAPTIST G. C. - I Want To Ride That Glory Train 
(Da: Shakin t. Rafters -Sony, 1991)
06 - ARETHA FRANKLIN - Old Landmark 
(Da: Amazing Grace - Atlantic, 1972)
07 - NINA SIMONE - My Sweet Lord 
(Da: In Concert-Emergency Ward! - RCA, 1972)
08 - THE DIRTY DOZEN BRASS BAND - Jesus On The Mainline 
(Da: Funeral For A Friend - Artemis, 2004)
09 - THE ARC CHOIR - Walk With Me 
(Da: Walk With Me - Mapleshade Records, 1997)
(Da: The Cry Of My People - Impulse!, 1973)
11 - MAVIS STAPLES - Precious Lord Take My Hand 
(Da: Spirituals & Gospel - Verve, 1996)
12 - NAOMI SHELTON & THE G. Q. - Jordan River 
(Da: What Have You Done, My Brother? - Daptone, 2009)



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martedì 21 dicembre 2010

Un anno di musica




                                                            Top 15

                      • Khaira Arby: Timbuktu Tarab (Clermont Music) v
                                                       Caribou: Swim (City Slang) v
                             • Mike Cooper: Rayon Hula (Room 40)/Reissue v

                                 Giant Sand: Blurry Blue Mountain (Fire Rec.) v
                                         Gonjasufi: A Sufi And A Killer (Warp) v
                                                    • Hjaltalin: Terminal (Borgin) v
                                    Janelle Monae: The Archandroid (Bad Boy) v
                            Mount Kimbie: Crooks & Lovers (Hotflush) v + v
                                • Joanna Newsom: Have One On Me (Drag City) v
                                                  • Shackleton: Fabric 55 (Fabric) v
                                          • Carmen Souza: Protegid (Galileo) v 
                    • Ali Farka Toure & Toumani Diabate: s/t (World Circuit) v
                          • Lobi Traoré: Rainy Season Blues (Glitterhouse, 2010) x
                      • VA - Angola Soundtrack…1965-78 (Analog Africa, 2010) x
                                Wovenhand: The Threshingfloor (Glitterhouse) v







Patrimoni dell'umanità

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Americana (Roots)

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Indie/Wave (Weird & Songwriting)
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Indie/Wave (Electronic)
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Indie/Wave (Rock, Psichedelie, etc.)
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Indie/Wave (Riciclo Pop & Rock)
• The Vaselines: Sex With An X (Sub Pop) v
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Little Moons (Avant-Folk, Ghost Folk, etc.)
Buduf Songs: This Alone Above All Else .. (Drag City) v
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Battiti (Sub)urbani/Elettroniche
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Other Soundz
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Jazz/Impro-Jazz
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Global Beats
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Black Is Black
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All'ombra del Baobab [x10]
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Around The World [x10]
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Euro-pop-fascinations
Casa nostra
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Ritorno al futuro (Antologie/Ristampe) [x10]

lunedì 20 dicembre 2010

Grazie Capitano!



Ai navigatori del rock underground degli anni Sessanta, Captain Beefheart apparve come un fantasma, carico di misteri. Coniugava il crudo blues di Howlin' Wolf con i celesti ghosts di Albert Ayler, sposava la sfrontata curiosità del nuovo rock californiano d'avanguardia con la bizzarria di Frank Zappa. Non bastasse la musica, era anche poeta lunatico e surreale. Diventò un mito, e tale è rimasto negli anni, e tale rimmarrà nei prossimi. La sua eretica arte è e sarà venerata da un'infinità di musicisti, non ultimi molti dei protagonisti di un certo ispido rock moderno. Di Beefheart non esistono molti segreti discografici. La produzione è nota e per la maggior parte rintracciabile anche in cd, con punte favolose in quelli sul finire degli anni Sessanta. Scompare uno dei grandi, dei grandissimi. Grazie capitano!

domenica 19 dicembre 2010

Quelli Buoni



Ruanda: The Good Ones sono Jeanvier HavugimanaAdrien Kazigira e Stany Hitimana, tre ragazzi miracolosamente scampati al genocidio del 1994. Ad aiutarli ci ha pensato Ian Brennan. Quando, per caso, le loro strade si incrociarono, l’affermato produttore canadese si trovava in viaggio nel paese africano. Pare che le chitarre dei tre fossero prive di qualche corda. Ma la musica arrivò lo stesso. Brennan se ne innamorò, conquistato dalle dolci melodie acustiche dello jouyous (tradizionali canzoni d’amore cantate nell'antico dialetto locale Kinyarwanda) e decise di catturarle, come si trattasse di autentiche registrazioni sul campo, in ''Kigali Y Ihazabu''. Registrato a Kigali in un cortile all’aperto in una notte di Luglio del 2009, e pubblicato quest’anno dalla canadese Dead Oceans, il disco del trio è leggero, sussurrato, melodioso, delicato, in contrasto con le dolorose vicende di un luogo profondamente segnato da morte e massacri, ma anche teatro dei drammi e delle sofferenze giovanili degli stessi protagonisti. E’ il suono della speranza e dell’emozione, sorta di catarsi di una delle pagine più nere di tutta la storia della nostra (dis)umanità. Anche in questo caso il disco può essere richiesto al sottoscritto, non senza ricordare che, in caso di acquisto, una parte dei proventi del lavoro saranno destinati ad associazioni umanitarie che operano in quei luoghi.



venerdì 17 dicembre 2010

Musiche migranti: Rebetika



Rebetika: in Grecia è considerata come il tango per gli argentini, il blues per gli americani e il fado per i portoghesi. E' la musica dei poveri e dei diseredati. Il termine rebetika (o rembetika) è di origine incerta, e deriva forse dal turco rembet che significa ''fuorilegge''. Nasce dalle vicissitudini della storia greca del principio del secolo scorso. E’ la musica dei rifugiati che devono sopravvivere al margine della società quando, tra il 1922 ed il 1923, conseguentemente alla sconfitta dell’esercito greco che aveva invaso la Turchia e dopo il Trattato di Losanna del 1923, quasi due milioni di Greci che vivevano in Asia Minore sono costretti a fuggire precipitosamente nella Grecia Continentale e a vivere nelle baraccopoli sorte intorno alle principali città, mescolando la loro cultura a quella dei fuorilegge. I rifugiati si fanno così portatori delle loro culture, tra cui, ovviamente, anche quelle musicali. Sin dalla crezione del moderno stato Greco, le classi alte e medie si conformano con le musiche classiche europee, mentre le classi sociali più povere ed abbiette continuano a mantenere vive soprattutto vecchie tradizioni greco-bizantine. Con l’arrivo dei rifugiati si avvia un processo di confronto e intercambio culturale e musicale costante che dà origine ad un nuovo tipo di musica popolare urbana solitamente suonata nelle taverne e in piccoli bar. Le parti vocali del nuovo genere riflettono lo stile ricco e commovente della musica turca, mentre i testi e la musica si basano sulla tradizione orale, con l'improvvisazione che gioca un ruolo fondamentale. Le canzoni iniziano quasi sempre con un preludio strumentale, il taximi, attraverso cui il musicista dimostra tutto il suo virtuosismo. Di solito il taximi, determina anche qual'è lo stato d’animo su cui si basa la canzone che lo segue, e può durare anche molti minuti (fino a venti). Poi inizia la canzone vera e propria (spesso si tratta di melodie familiari), con il cantante che improvvisa le parole, menzionando persone del pubblico e riferendosi per lo più a fatti recenti e/o di interesse locale. Il ritmo viene invece tenuto da un piede che batte sul pavimento e che accompagna il suono degli strumenti tipici: il bağlama, lo tzouras (un liuto a collo lungo con una cassa di risonanza in legno) e soprattutto il bouzouki, che appartiene alla famiglia dei liuti come il saz turco di cui è parente stretto e al quale assomiglia nella forma. Come accennato, il rebetiko vene solitamente suonato e può essere ascoltato nei tekédhes, antri e bar malfamati in cui si consuma appio e si bevevano alcolici, ma anche in alcuni caffè musicali di origine mediorientale chiamati Aman. Fra i piu grandi rebeti, Markos Vamvakaris, (Mάρκος Βαμβακάρης) considerato il padre della rebetika, e Vassilis Tsitsanis ( Βασίλης Τσιτσάνης), celebre per la dolcezza delle sue numerose canzoni.



Così fino al 1936, quando il generale Ioannis Metaxas (1871-1941), dittatore e capo del governo greco di allora, decide di proibire la rebetika, reprimendo ogni forma di contatto tra le influenze turche e/o mediorientali, che nel frattempo si stanno mischiando inesorabilmente e pericolosamente con le culture locali, e quella che il generale considera la ''purezza'' ellenica. La persecuzione porta all'inevitabile chiusura delle cantine dove si suona e balla questa musica e all’arresto di molti rebeti, i suoi interpreti. La rebetika contina perciò a vivere segretamente, senza poter mantenere però la naturalezza che l'aveva contraddistinta, fino a quando, dopo la Seconda Guerra Mondiale, non si trasforma, lentamente e progressivamente, in quella che viene detta la canzone popolare greca (Λαικό Τραγούδι).


IL DISCO

Rembetika Greek Music From The Underground (Jsp, 2006-4cd Box)
Rembetica: Cd 1 - 2 - 3 - 4

I quattro cd che vanno a comporre il cofanetto ''Rembetika: Greek Music From Underground, The Ottoman Legacy 1925-1937'' (Jsp, 2006), sono stati presentati e/o indicati dai più esperti in materia come una delle più complete e soddisfacenti raccolte di musica popolare greca in circolazione, e contengono ben 89 stupefacenti recuperi realizzati da un ampio gruppo di eroi ed eroine della rebetica, tra cui Abadzi, Vamvakaris, Tsitsanis, Batis, Stratos, Halikian ecc ecc. Pur trattandosi di documenti fondamentali dal punto di vista etno-musicale, sarebbe bene specificare che, date le circostanze e la precarietà delle registrazioni, si tratta pur sempre di materiali di non facilissimo ascolto e dalla resa sonora abbastanza limitata. Detto questo aggiungo che la compilation è nata dalle mani esperte dell’inglese Charles Howard, che non solo ha selezionato tutte le canzoni, ma ha anche messo insieme le notizie sugli artisti, sui vari sottogeneri musicali, sulla storia e il contesto in cui questa straordinaria musica si è sviluppata, ha tradotto i testi e ha radunato alcune fotografie molto belle. Insomma un’operazione importante e una raccolta completa ed esaustiva di un genere complesso e profondamente radicato nella cultura popolare ellenica.


IL FUMETTO

Rebétiko - La Mala Erba (Coconino Press, 2010; 104 pagine, 17 euro)


Questa è anche la storia che David Prudhomme narra in ''Rebétiko'' (Coconino Press, 2010): l’affascinante ricostruzione storico-sociale di un ambiente, un'epoca, un'etnia. Lo fa mischiando impeccabilmente realtà e finzione , nascondendo dietro a personaggi come Markos, Perro, Batis, Stavros, Artemis ecc le storie vere di uomini in carne ed ossa, personaggi leggendari come il mitico Vamvakis. Attraverso la narrazione si respira la storia, si annusa la miseria mista ai profumi dei licquori all’anice (il raki turco) e dei narghilé di marihuana. Le strade di Atene evocate da Prudhomme sono sporche, cariche delle polveri calde dell’estate mediterranea. Dalle sue cantine risuonano voci che gridano e traspirano il sangue secco delle zuffe consumate durante la notte. Notevole il talento di Prudhomme sotto l’aspetto grafico: il francese riesce a riprodurre tempi e spazi con una sensibilità stupefacente, ha la capacità di captare e catturare meravigliosamente la luce del crepuscolo così come ogni minimo dettaglio componga queto affresco dei bassi fondi. Prudhomme insiste su di essi, sulle gestualità delle classi abbiette e nel realismo stilizzato come ricorso per ricreare atmosfere e personaggi. A volte usa uno stile un po’ più scioto ed evanescente (come ad esempio in una stupefacente scena di ballo dove i danzatori greci si muovono attraverso le vignette mute come se stessero fluttuando al ritmo del buzuki e della baglamá), ma in generale predomina la  meticolosità nell’uso della luce e una’attenta documentazione nel ricreare gli spazi, che si manifesta nelle belle 'scenografie' delle vie, dei quartieri ecc.


Ma Rebétiko è soprattutto la storia di un fallimento collettivo. Sì, perchè nonostante l’attitudine disinteressata, spavalda e felicemente bullesca di molti suoi protagonisti, i personaggi che popolano queste pagine sembrano essere coscienti della sconfitta a cui sono tristemente destinati; il fallimento esistenziale è il motore che guida questi antieroi verso una vita che si presume corta, intensa e turbolenta. La loro motivazione, un arma temibile, la musica; il loro 'alimento' quotidiano, il raki e il fumo narcotico del narghilé della pipa; il loro futuro, nessuno. Uno dei romanzi a fumetti più belli degli ultimi mesi. http://bderebetiko.blogspot.com
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Musiche migranti: Klezmer


IL DISCO

Yiddish Songs - Traditionals 1911-1950 (Membran International, 2004)
Yiddish songs: Cd 1+2; Cd 3+4

Nella musica popolare degli ebrei il crossover è un concetto di base. O meglio è il risultato dell’assimilazione di elementi tratti da altre culture e adattati ai gusti artistici e ai valori religiosi propri del popolo che, con gli zingari, ha fatto del suo migrare una ragione di vita. Il klezmer è la musica popolare per eccellenza di un popolo che la diaspora ha spinto in ogni angolo del mondo. In realtà klezmer è una parola yiddish che viene dall'ebraico keli zémèr, cioè strumento per la musica e i canti. Nato negli shtetls (villaggi dell’Europa orientale) rumeni, russi, ukraini e polacchi, questo genere ha attraversato il vecchio continente prima di approdare negli Usa alla fine dell’Ottocento. Furono i badhanim e i klezmorim (antichi musicisti girovaghi) a tramandare il vasto repertorio popolare. Come gli antichi griots africani, essi giravano per i villaggi cantando in vernacolo e contribuivano, a confronto con realtà sociali diverse, alla formazione di un nuovo folklore. Luoghi privilegiati erano le feste nuziali, il Purim (coi travestimenti tipici del carnevale) e i bar mitzvàs (celebrazioni per l’ingresso della maturità religiosa dei ragazzi maschi di 13 anni), ma non erano esclusi da questa rappresentazione orale la strada, i locali pubblici e il calendario festivo delle altre religioni. La massiccia ondata verso l’America, che ha avuto il suo apice nei disperati anni del nazismo, ha contribuito alla riscoperta e alla rinascita del klezmer (e del canto yiddish), suonato agli inizi solo da violini e flauti e impresso grazie alle prime incisioni di Thomas Edison. All’inizio del secolo scorso Mishka Tsiganoff con la sua fisarmonica aprì la strada delle prime incisioni a 78 giri. Gli fece eco Dave Tarras (1897-1989) che, con il suo clarinetto ha ridefinito i confini di questa musica avvicinandosi al jazz e lasciando un segno indelebile per il futuro.



I quattro cd che il Giardino propone compongono, invece,  uno straordinario cofanetto pubblicato dalla Membran Int. nel 2004, intitolato ''Yiddish Songs: Traditionals 1911-1950''. Il box contiene un florilegio di vecchie registrazioni con interpretazioni di musiche popolari dell'Europa orientale, materiali tradizionali risalenti alla prima metà del secolo scorso che, per il susseguirsi di eventi storici che tutti noi conosciamo, hanno seriamente rischiato di scomparire, ma che per fortuna sono stati salvate per essere successivamente riproposte in operazioni degne di nota come questa, che alle 4 ore (approsimatamente) di musica accompagna un booklet di 20 pagine in inglese, tedesco e yiddish.


IL FUMETTO
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Joann Sfar: Klezmer I - Conquista dell'Est (Rizzoli-Lizard, 2010)

Prosegue inarrestabile la prolifica produzione di Joann Sfar e la moltitudine di serie e progetti che lo coinvolgono (molti dei queli ancora aperti), vuoi come disegnatore, vuoi come video maker o regista cinematografico. Rizzoli-Lizard ha finalmete editato anche in Italia (al solito considerevolmente in ritardo) il primo volume di Klezmer (Conquista dell'Est), altra opera in cui il giovane e talentuoso artista francese rende omaggio alle proprie origini (andrebbero ricordati almeno gli strepitosi volumi de Il Gatto Del Rabbino), raccontando la vita delle comunità ebraiche dell’Europa dell’Est prima della seconda guerra mondiale. Si tratta, in particolare, della storia di un gruppo ambulante di eccentrici musicisti ebrei accomunati dalla loro condizione di emarginati dal reto della societa, che poco a poco vanno incontrandosi nel cammino. Sopravviveranno suonando insieme musica di intrattenimento klezmer per gli abitanti dei paesi da cui passano. E' un mondo dove tutto è in mutamento, in viaggio e in movimento. Sfar continua a trattare temi delicatissimi come vita e morte, amicizia e amore, saggezza e religione, e lo fa attraverso i dialoghi dei suoi incredibili personaggi e attraverso le note. Il protagonismo dei suoni nel fumetto è a dir poco sorprendente. Ecco che l’apparente distanza che separa i comics dalla musica viene sfatato dal talento di Sfar che, attraverso l’intelligente combinazione dei disegni, dei testi e dell'uso della luce, riesce nel non facile compito di coinvolgere i lettori in scene di musica e ballo delle quali ci si sente direttamente partecipi. 


Il suo disegno è perfetto, incompiuto ed agile come la storia che narra: nomadi che vanno e vengono vivendo giorno per giorno. Tutto è sul punto di arrivare, ma non c’è un cammino da seguire, solo vivere. L’uso del colore, che normalmente nel fumetto assume una funzione di ambientazione e/o descrizione di personaggi e/o luoghi (anche nel cinema funziona così: il direttore della fotografia usa il colore e la luce per dare un’ambientazione e creare un’atmosfera ben precisa) in questo caso viene recuperato e utilizzato con un fine narrativo vero e proprio. Klezmer rappresenta uno di quei casi particolari in cui il colore e la luce ricoprono un ruolo fondamentale diventando essi stessi autentici protagonisti. L’uso degli acquerelli plasma l’energia e dà  dinamismo ai disegni che vanno oltre la storia rappresentata nelle bellissime tavole. Sfar disegna in yiddish come altri lo parlano. Il tratto è vivace e danzante, il colore gioioso e profondo a supporto di una storia tenera e violenta, divertente e tragica. Nell'attesa degli altri due volumi, l’ennesimo centro dell'autore francese.

mercoledì 15 dicembre 2010

Dancefloor Soul-Stompin - Rare R&B & Funky Bombs From '50 & '60


SCARICA


TRACKLIST
01 - LITTLE RICHARD - Get Down With It (Okeh, 1967)
02 - BILLY WATKINS - I'm Tired (Chartmaker, ?)
03 - CARRIE GRANT & THE GRANDEURS - Mish Mash (Newton, 1964)
04 - JESSE JAMES - I'm All Right (Elm Records, ?)
05 - CARL HOLMES - Soul Dance No. 3 (Blackjack, 1966)
06 - WESTON PRIM - Get That Feelin' (Brant, 1967)
07 - STU GARDNER - Drive me (Straight Ahead, ?)
08 - THE VOLCANOS - A Lady's Man (Arctic Records, 1966)
09 - JAMO THOMA - Bahama Mama, Part 1 (Sound Stage 7, 1967)
10 - MARVIN L. SIMS - Talkin' Bout Soul (Revue, 1968)
11 - A.C. REED - Boogaloo-Tramp (Tramp Records, 1967)
12 - GOLDEN TOADSTOOLS - Silly Savage (Minaret, 1968)
13 - KIM MELVIN - Doin' The Popcorn (Hi, 1969)
14 - FABULOUS FANTOMS - The Mau Mau (Big Deal Record, 1970)
15 - PERVIN LA VAWN & THE COMMANDERS - Soul Dance Number 3 (?)
16 - THE INCLINES - The Hippie (Gil-6015, ?)
17 - FRANKIE NEWSOM & THE SOUL INVADERS - My Lucky Day (Gwp, ?)
18 - SYL JOHNSON - Ode To Soul Man (Twinight, 1967)
19 - EDDIE G GILES - Go Go Train (Murco, 1967)
20 - MILTON HOWARD - The Funky Shing A Ling (Sound Stage 7, 1968)
21-  HANK BALLARD - Broadway (King, 1962)
22 - LULU REED - What Makes You So Cold (Federal, 1961)
23 - THE 5 ROYALES - Slummer The Slum (King, 1958)

Solo due paroline per presentare questa compilation, frutto di un lavoro iniziato più di un mese fa dal sottoscritto che, attraverso una paziente cernita, ha spulciato, scovato e selezzionato direttamente da alcuni blog specializzati nel suono del funk e del r&b più primitivo questi 23 polverosi e rarissimi 45 giri provenienti da qualche collezione privata, ma spesso privi di ogni riferimento che non siano titolo e autore. Ne esce una raccolta di autentiche gemme, ballabilissime e freneticissime. Bassissima fedeltà, ma altissima energia. E divertimento: una gran voglia di far festa, ballare e urlare sui tempi sicopati. Brutale party music in cui si respira l’aria del più autentico spirito underground.Una costellazione di 45 registrati da brutti sporchi e cattivi del suono afroamericano in un arco di tempo compreso tra la fine degli anni '50 e quella dei '60. Spero gradiate. Saluti.


él: un irresistibile fiasco



''The Ocean Tango'' [scaricabile qui, o anche qui] è un disco magnifico, certamente uno dei più riusciti della lunga produzione di Louis Philippe. Chansonier d’origine francese, brillante chitarrista e compositore, mastro nell’ arte del pop unito a un uso raffinato dell’orchestra e delle voci, Philippe si fa aiutare in questo nuovo lavoro dai membri degli svedesi Testbild!, che offrono la deliziosa e adeguata intelaitura acustica alle composizioni e alla voce dell’uomo. Ma se di ''Ocean Tango'' non mi occuperò direttamente (oltretutto esiste già una bellissima recensione dalle parti di Onda Rock), il pretesto è invece ottimo per celebrare la più barocca delle etichetta discografiche del Regno Unito (cosa che prima o poi avrei fatto comunque, visto che ho solo anticipato un post che stavo meditando da un pezzo), nonchè una delle più sottovalutate nel folto sottobosco del pop indipendente britannico, vale a dire la mitica èl, nata nel 1984 come costola della Cherry Red. Barocca si diceva; non certo da intendersi nell’eccezzione dispregiativa di musica stucchevole e/o di cattivo gusto, bensì in quella di brillante fantasmagoria di lusseregianti e eccentrici quadretti pop. Dare la caccia (come ha fatto per anni il sottoscritto) ai vinili della èl non è impresa facile, ma il possesso di queste delizie ripaga appieno ogni sforzo in questo senso.


Ostracizzata in patria, messa da parte da una stampa forse a disagio al cospetto di un catalogo pieno zeppo di cotante aristocratiche eccentricità, la él ha invece trovato un incredibile successo in Giappone, dove alcuni personaggi come King Of Luxembourg, Anthony Adverse, lo stesso Louis Philippe e un giovanissimo Momus sono stati elevati quasi al rango di star. I Giapponesi sono rimasti affascinati dalle stravaganze tipicamente europee degli artisti dell'etichetta londinese tirando in ballo innumerevoli volte Oscar Wild, tutti i dandy possibili ed immaginabili e gli eccentrici culturi della bellezza. Tale estetismo e un gusto così spiccatamente british, talvolta ecletticamente esotico, non poteva non suscitare un senso di estrema autenticità, definizioni che calza a pennello a molti degli artisti dell’etichetta di Michael Alway. Boss egocentrico e geniale, Alway è un talent scout dal fiuto notevole (tra le sue scoperte The Soft Boys, la prima band di Robyn Hitchcock, The Monochrome Set, Eyeless In Gaza, Felt, Everything But The Girl e molti altri) già uomo chiave della Cherry Red ed uno dei protagonisti della Blanco Y Negro, ha definito così la sua etichetta: ''él è divertimento, arte intesa come artficio, superficialità (apparente), un miscuglio di enigma ed assoluta banalità, ma anche provocazione e divertimento. Alla base del lavoro della él una volontà di escapismo, un desiderio di fuga che travalica ogni possibile contatto con il reale che non sia utilizzato come spunto per astrazioni intellettuali …'' Ben vengano quindi paradossi e metafore se ci allontanano dalla noia e dalla consuetudine e le trame sonore di artisti che si dipanano in maniera imprevedibile prendendo spunto da canoni musicali dei più disparati: i Monkees, Jacques Brel, l’opera, Gershwin, i Beach Boys, Henry Mancini, il sixties-punk, il post-punk anni Ottanta ..., e si realizzano attraverso arrangiamenti esteticizzanti, in un susseguirsi di virtuose chitarre flamenco, sezioni di fiati ed archi, cori a cappella ed eccenticitrà varie. 


Anche l’iconografia che accompagna i prodotti è manifestazione evidente della passione per la citazione e per la rivisitazione. Le foto di copertina curate da Nikolai Wesolowsky - per un certo periodo anche batterista degli indimenticabili Monochrome Set che proprio su él pubblicarono nel 1986 una compila di registrazioni live intitolata ''Fin'' [raggiungibile quì], e nel 1988 la colonna sonora di ''Westminster Affair'' - presentano gli artisti come personaggi di ''improbabili situation comedy ambientate tra Casablanca e i castelli della Loira; baronetti colti e stravaganti, Madonne lascive dall’aspetto di stelline hollywoodiane, rajà con tanto di tappeto volante, collezionisti di opere d’arte, giocatori di cricket, cardinali, generali e bellissimi bastardi''. I dischi sono accompagnati da brevi note, ironicamente letterarie con dissertazioni su Botticelli, Chanel ecc. 

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Certo non in ogni disco è possibile trovare tutti questi elementi insieme, e non tutti i lavori sono ugualmente validi: ce ne sono di eccezionali, di buoni e di meno buoni, ma in tutti i casi dietro a questa patina di mondanità pop si nascondeva la profonda consapevolezza della propria irreversibile decadenza. Tra i migliori artisti coinvolti in queste avventure inizierei da  Simon Fisher Turner, in arte King Of Luxemburg, autore anche di un paio di colonne sonore per Derek Jarman, tra cui  ''Caravaggio 1610'' (él, 1986). Prima bambino-attore prodigio, poi teen-ager star mancata per un soffio, tossicodipendente, partner e amico di Robert Mitchum durante le riprese del remake de ''Il Grande Sonno'', amante di Britt Ekland (la formosa attrice di molti b-movie) ecc., Turner è indubbiamente un personaggio curioso e stravagante. A proposito: di pettegolezzo in pettegolezzo sembra che la él abbia venduto la storia Turner-Ekland al Sunday Mirror per finanziare molte delle proprie uscite discografiche tra cui, naturalmente, anche singoli e dischi dello stesso ''Re del Lussemburgo'' di cui segnalerei soprattutto i primi due: l’imperdibile ''Royal Bastard'' (1987) [quì], poliedrico e affascinante, quasi interamente fatto di covers (ma anche tre brani scritti per l’occasione dal citato compagno di scuderia Louis Philippe), con il giovane britannico che si/ci diverte con le sue pazzesche interpretazioni di canzoni da ogni tipo di repertorio (TV Personalities, Monkees, Turtles, P.I.L., Nino Rota ecc.) a comporre un mosaico stravagante e ricercatamente barocco; e poi ''Sir'' (del 1988), disco dalla fantasia barocca ancora più maliziosamente sensuale, sfrenatamente ironico e giocato su una cura formale minuziosa.

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Ma oltre al re ci sono numerosi cortigiani dal grande talento. Primo tra tutti lo stesso Louis Philippe (ovvero Philippe Auclair) di cui vi consiglio almeno i primi due album (licenziati dalla él, of course): il fantastico  ''Appointment With Venus'', del 1986 (provate a beccarlo in rete o dove vi capiti, altrimenti rivolgetevi al sottoscritto) e il successivo ''Ivory Tower'' (1988) [quì]. I due dischi sono perfetti esempi d’arte pop, con melodie sempre soffici che devono moltissimo al cool jazz, ai Beatles, a Brian Wilson e a tanta canzone francese degli anni passati. La sua voce è sempre decisamente romantica, le canzoni soffici come il pan di spagna, gli arrangiamenti raffinati, affascinanti, in alcuni casi stravaganti. A volte sembra di passeggiare in un boulevard parigino, con la pioggia leggiera e l’amata, mano nella mano. Insomma, un cantante di culto.
Artista di culto lo è anche Nicholas Currie. Il primo lavoro con il nome Momus lo incide proprio per la él nell’ottantacinque ed è un singolo. Un anno dopo esce il suo primo, magnifico 33 (da quel momento arriveranno molte altre meraviglie), ''Circus Maximus'' [quì], un album troppo ignorato, con l’indimenticabile copertina che lo ritrae trafitto dalle freccie come San Sebastiano, ma adagiato in un'estasi masochista e in cui vengono cantati i tormenti d’anime sofferenti per natura e inclinazione. L’apparenza dell’intero album è dolce, adirittura leggiadra nei suoi tepori acustici, ma il contenuto è fortissimo e maledetto. Una bellezza fatta di principi uccisi o destinati alla morte e di principesse sole e incomunicate. Pagati i suoi tributi alla letteratura del mondo classico, Momus, nell’ultimo EP per la él, ''Nicky'' (1986) porge omaggio ad uno dei suoi idoli musicali, Jacques Brel. Prende tre canzoni dal repertorio del cantautore francese ne offre riletture personali, pur conservando l’originaria intenzione poetica.

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Poi ci sono le sorelle Jessica e Melania Griffin che nelle Would Be Goods parlano della loro vita, delle cose che fanno e di quelle che amano. Nel gioiellino ''The Camera Loves Me'' (1988) [quì] ci cantano di intervalli lavorativi attraverso il gusto dei pocket-cofee, di bei ragazza sudamericani, della guida turistica di un museo, e anche di grandi temi come morte e amore visti attraverso un menù gastronomico. Ognuni brano sembra rubare melodia ed atmosfera ad un momento musicale del passato, con preferenza per la dolcezza e la semplicità delle canzoni per teen-agers. E come ladra Jessica Griffin è impareggiabile; trafuga i gioielli più preziosi del pop e li indossa con la nonchalance di una principessa al ballo di corte. La cosa strana è che finite le canzoni, come Cenerentola al rintoccare della mezzanotte, Jessica torna ad essere una bancaria.

ascolto

E che dire di quelle due graziose bambine che si facevano chiamare Bad Dream Fancy Dress, che si facevano scrivere le canzoni da King Of Luxembur e Dean Speedwell e le cantavano come fossero le Supremes in un museo d’arte moderna, tornando continuamente alla toilette per rifarsi il trucco? Una manciata di canzoni proprio carine quelle di ''Choirboys Gas'' (1988).
Certo si potrebbe continuare a parlare della él e dei suoi artisti ancora a lungo, ma ho pensato di limitarmi solo ad alcuni dei più rappresentativi. Per una più ampia panoramica d’ascolto, che coinvolge anche Anthony Adverse, Bid, Gol Gappas, Marden Hill, Florentines, Raj Quartet, The Cavaliers (Perspico Acumine) e molti altri, più, naturalmente, tutti gli artisti già citati sopra, consiglio di iniziare dai primi tre volumi delle raccolte ''London Pavilion'' (1, 2, 3) [quì, quì e quì], un concentrato del gusto ludico per l’eccesso formale e per l’ironia sfrenata che hanno fanno della él records una delle etichette più bizzarre del panorama indipendente inglese. Non bastasse ecco le parole con cui Michael Alway, usò illustrare il carattere degli artisti della sua etichetta: ''Attenti, noi siamo gente di talento. Dorothy Parker una volta disse: ''Io non diventerò mai famosa. Il mio nome non sarà mai scritto in maiuscolo sul libro di Quelli-Che-Fanno-Le-Cose. Io non faccio nulla. Neanche la minima cosa. Ero abituata a mangiarmi le unghie, ma non faccio più neanche quello oramai’’. Noi ci ritroviamo in quelle parole. Molto pop del resto. Quaggiù al quartier generale della él, noi passiamo il nostro tempo crogiolandoci ai riflessi cremisi delle tenui lampade del salotto, affinando il nostro genio per la stessa cosa. Far Nulla. Talvolta contiamo i nostri soldi. Altre, ci divertiamo con i domestici, lanciando una mezza corona in aria per fargliela prendere. Più raramente, facciamo un altro disco. Giusto per farlo. E se vende quindici copie, noi lo consideriamo un irresistibile fiasco. Dovete ammetterlo, siamo insostituibili. Vi amiamo''. E infatti irresistibile fiasco fù, al punto che nel 1988 la él venne inevitabilemnte abbandonata, salvo rinascere nel 2005 sempre come sussidiaria della Cherry Red, reiventando e riciclando il proprio gusto estetico applicato, questa volta, al restauro e alla riproposizione di storiche edizioni di colonne sonore, dischi di jazz, musica flamenco, indiana, brasiliana ecc.

Ricapitolando
The King Of Luxembourg: 
Royal Bastard (él, 1986) [ascolta] 
Sir (él, 1988) [ascolta] 
Simon Turner
Caravaggio 1610 [soundtrak] (él, 1987) [ascolta] 
Louis Philippe:  
The Monochrome Set:  
Fin (él, 1986) [no ascolto] 
Momus: 
Circus Maximus + Nick Ep (él, 1986) [asc]+[asc] 
Would-Be-Goods
The Camera Loves Me (él, 1988) [ascolta] 
Bad Dream Fancy Dress:  
Choirboys Gas (él, 1988) [ascolta] 
Various Artists