domenica 29 novembre 2009

Funerali: New Orleans



The Big Easy, la città dove la vita scorre tranquilla e tutto è più semplice. Così la giornalista Betty Guillaud ribattezzò New Orleans negli anni Settanta, per sottolineare la contrapposizione con la Big Apple, New York, snob e intellettuale. È nelle strade polverose di New Orleans che alla fine dell'Ottocento è nato il jazz. Un genere che rifletteva la variegata composizione razziale della città, che poteva contare su almeno tre religioni ufficiali: quella cattolica, dei francesi e degli spagnoli, quella protestante, degli inglesi, e l'animismo voodoo che praticavano i neri venuti dall'Africa e gli haitiani. New Orleans era dunque il luogo ideale per la nascita e lo svilupparsi di una nuova cultura musicale, fatta delle più tipiche espressioni africane mescolate con la tradizione europea.


Proprio la tradizione africana è alla base delle marce funebri che a New Orleans caratterizzano i funerali neri e talvolta quelli bianchi. Spesso conosciuti come jazz funerals, gli abitanti della città preferiscono chiamarli funerals with music, funerali con musica, perché il jazz non è l'unico genere musicale che li distingue. Si tratta piuttosto di un misto di jazz, gospel, soul e swing. Il rito è diviso in due parti: in un primo momento, mentre il feretro procede verso il cimitero, le brass band suonano seguendo un tempo molto lento; dopo essere arrivati al cimitero e aver sepolto il morto, le band si allontanano marciando a ritmo di tamburello, quindi comincia lo spettacolo: le band iniziano infatti a suonare ad un ritmo molto veloce gli stessi temi dell'andata, o altri pezzi di repertorio. Dietro si forma un corteo danzante, chiamato second line, che procede all'interno della città: spesso si formano delle folle enormi, che seguono il feretro per poter partecipare, al ritorno, alla marcia danzante.



Il Disco

DIRTY DOZEN BRASS BAND
Funeral For A Friend (Ropeadope/Rykodisc, 2004)


In Agente 007 - Vivi e lascia morire, il primo epidodio della serie interpretato da Roger Moore, si vede a un certo punto una banda di ottoni seguire una processione funebre suonando una melodia adeguatamente sobria, dolente. Salvo esplodere in una sfrenatamente ludica non appena girato l'angolo. La scena è esilarante ma, come giustamente osserva Leke Adewole, è il riflesso di una certa realtà piuttosto che una parodia, e chiunque abbia assistito, dal vivo o in qualche documentario, a un funerale a New Orleans lo sa. Nella città più meticcia e africana d'America, è con una festa che ci si congeda dai dipartiti. Pare dunque perfettamente appropiato che un gruppo che a tal punto rappresenta Crescent City da essersi visto intitolare dal municipio una giornata, abbia confezionato uno dei suoi dischi più memorabili (forse il migliore dall'omaggio al padre del jazz Jelly Roll Morton, Jelly, del 1992) celebrando un amico scomparso, Anthony ''Tuba Fats'' Lucen.



Omaggio più bello non avrebbero potuto inscenare. Si parte con il dolcissimo blues, che però presto si fa scoppiettante, di Just A Closer Walk With Thee e nei quaranta minuti che portano a una struggente Amazing Grace, unico momento in cui un filo di commozione infine si insinua, la festa non ha riposo, e ogni brano è la tappa di un percorso che della via crucis non ha nulla. Non sono i riti della morte a venire officiati qui, in un tripudio di fiati in cui occasionalmente si insinuano una chitarra o una fisarmonica, ma la gioia i vivere, non la paura di un Dio arcigno è cantata, ma la riconoscenza per un creatore generoso. Bellissimo.



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