mercoledì 11 novembre 2009

Cinema tascabile: ''When We Were Kings''



Ecco una notizia che mi ha stupito e commosso: Muhammad Alì è lo «sportivo del Novecento» secondo gli italiani, superando persino due miti del pallone come Maradona e Pelè. È il sorprendente risultato di un sondaggio condotto da Focus Storia attraverso il proprio sito web e reso noto il 28 Ottobre scorso. L'indagine ha considerato i migliori venti atleti appartenenti a varie discipline ed il più volte campione dei pesi massimi ha superato la nutrita concorrenza con il 17,4% delle preferenze. Dietro Alì si sono piazzati lo stesso Maradona con il 13,5% delle preferenze e Pelè, che ha conquistato il 10,5% dei voti complessivi. Raro caso di uomo ancora in vita diventato già mito, Muhammad Ali è un simbolo, un'icona dello sport, ma non solo.


The greatest of all times

Cassius Clay è stato veramente ''The Greatest'' come anche lui stesso si definì, ma anche l'uomo delle imprese impossibili. Lui, che butta nel fiume la gloriosa medaglia olimpica, conquistata a Roma nel 1960, categoria mediomassimi, 18 anni, perchè ''tanto non serve a niente, continuano a chiamarmi nigger, sporco negro''. E visto che non poteva togliersi il marchio di schiavo negro ha adirittura cambiato nome (nel 1964, due giorni dopo aver battuto Sonny Liston Smith per k.o. tecnico in un match molto discusso, Cassius Clay annuncia pubblicamente di essersi convertito all'islam e di aver scelto il nome di Muhammad Ali ''meritevole di lode'').


Non poteva perdere il titolo e infatti glielo hanno tolto per motivi extrasportivi ( rifiuta di andare a fare la guerra nel Vietnam, ''perchè dovrei combattere i vietcong? Nessuno di loro mi ha mai chiamato sporco negro'' dichiara al tribunale federale, nel 1967, e che, per renitenza alla leva, lo condanna a cinque anni di prigione e a diecimila dollari di ammenda. Farà ricorso, ma intanto non potrà combattere per tre anni, le stagioni della sua pienezza atletica, prima di veder riconosciuti i suoi diritti. Tornerà nel quadrato nel 1970 battendo per k.o. tecnico Jerry Quarry. L'anno dopo, l'agognato incontro al Madison Square Garden con Joe Frazier, il campione del mondo dei massimi per la Wba, in cui si riprende quel titolo che gli era stato tolto negli uffici della federazione). Non poteva tornare quello di un tempo e ha riconquistato il mondiale dei massimi per tre volte, unico caso dell'universo pugilistico. Non poteva battere questa tremenda malattia che l'affligge da anni (il morbo di Parkinson) e ha voluto portare la fiaccola olimpica di Atlanta '96.



Se poi non avesse avuto qualcosa in più difficilmente sarebbe potuto salire sul ring a riprendersi il titolo, a schiantare Foreman nella memorabile notte di Kinshasa 1974, destinata poi a divenire un film documentario ("Quando Eravamo Re" di Leon Gast, di cui tra poco parleremoa lungo), altrettanto indimenticabile, che sa di sangue, sudore, lacrime e ritmo come pochi.


Altre celebrazioni del mito sono stati stati ''Alì'' (Usa, 2001), il film di Michael Mann, con un Will Smith di impressionante somiglianza e soprattutto ''Il re del mondo'' (King Of The World, 1998) di David Remnick, uno splendido libro (uscito nel 2008 per Feltrinelli nella prima edizione italiana) che ricostruisce la vita e la carriera di un pugile e di un uomo che rimarrà senza uguali.




Ali, di Michael Mann

Affrontare un personaggio leggendario come quello di Alì era una sfida impervia alla quale il regista Michael Mann ha risposto in modo sicuramente brillante, superando la maggior parte degli ostacoli, ma non tutti. Forse il film ha l'unico difetto di celebrare più la bravura del regista (e quella congiunta del protagonista Smith) che la debordante personalità del campione biografato.

Il Re del Mondo di David Remnick

Meglio ''Il Re del Mondo'', libro dove, con un linguaggio giornalistico asciutto ma efficace Remnick (direttore del prestigioso New Yorker, già cronista sportivo del Washington Post e premio Pulitzer 1994) ricostruisce la vita di Clay non già da un punto di vista solo sportivo, ma soprattutto seguendo la trasformazione del ragazzo nero in idolo delle folle e simbolo della rivolta politica. Il libro si ferma al primo mondiale vinto contro le tutte previsioni contro lo schiacciasassi Sonny Liston nel 1964, ma il periodo maggiormente preso in esame, e analizzato con precisione, facendo parlare i protagonisti dell'epoca, (da Floyd Patterson allo stesso Liston, da Angelo Dundee ai numerosi suoi colleghi della carta stampata), è proprio quello della svolta essenziale. Clay, giovane pugile in ascesa, incontra Malcolm X e rimane affascinato dalle sue teorie, al punto che rifiuterà la chiamata alle armi degli USA e abbraccerà l'Islam, mutandosi in Muhammad Alì, lo stesso nome del Profeta. E ancora: il Parkinson, (l'immagine di Alì che accende il fuoco olimpico di Atlanta nel 1996 è una di quelle che restano scolpite nella memoria), la battaglia che continua, con un morbo che piega il fisico, lui che non tremava mai di fronte a nessuno e che danzava come una farfalla ai ritmi di James Brown e di BB King. Questo libro, che non è solo un'ulteriore celebrazione del mito, ci aiuta anche a capire molte cose dell'America di quegli anni, in bilico tra mafia, lotte razziali e la grande tragedia collettiva del Vietnam.



Anche le fotografie di Howard Bingham (da sempre amico di Ali) hanno contribuito a creare la sua leggenda. Queste immagini sono state riproposte dall'editore tedesco Taschen che ha pubblicato un sorprendente libro fotografico dedicato al grande campione: un volume in maxi-formato (pesa 34 chilogrammi) che si svolge proprio come un film. Come la vita di Ali.



Ali vs Foreman

''Pregai, e con grande semplicità, che George non uccidesse Ali. Pensavo che davvero fosse una possibilità. Anche altri lo pensavano''.

Archie Moore (Ex campione di boxe)


I bookmakers non avevano dubbi. Foreman, campione in carica, più forte e più giovane, con un record di 40 vittorie e nessuna sconfitta, veniva dato vincente 3-1. Ali aveva 32 anni e da parecchio aveva smarrito la forma dei tempi migliori. La sua sembrava un impresa impossibile, tanto che c'era pronto un aereo sulla pista di Kinshasa che lo avrebbe dovuto portare all'ospedale americano di Madrid, subito dopo la fine del match. E le prime riprese sembravno avviarsi verso la conclusione più probabile. Foreman si lanciava su Ali e lo tempestava di pugni. Il ''labbro di Luisville'' (come veniva chiamato Ali), invece di danzare lontano da Big George come tutti si apettavano, si lasciava colpire ripetutamente, quasi senza reazione. Norman Mailer, testimone oculare racconterà: ''Ali si mise alle corde e si fece massacrare. Ma mentre Foreman lo colpiva, lui non smise un istante di insultarlo, di provocarlo -' Dai George, mi deludi, cosa sono questi pugni? Queste sono carezze, puoi fare di meglio...' - Non so, credo che la lingua di Ali e le urla dello stadio ipnotizassero George''....

''Foreman credo di averlo sconfitto il 30 ottobre del '74 prima di salire sul ring. La sera precedente, durante le operazioni di peso nel grande stadio di Kinshasa, capii che avevo già vinto. Io ero felice e l'aria di ''Mamma Africa' mi riempiva i polmoni. George invece, non sentiva il piacere di quelle radici, era un giovane americano annoiato da un mese di clausura, senza televisione, senza giochini meccanici, in un albergo dove, per di più, si parlav francese. Mi feci picchiare da lui sulle braccia per cinque round in una notte di caldo tremendo e di umidità incredibile. Quando, per la stanchezza, abassò le braccia, lo finii in due round. All'ottavo assalto, mi offriva il viso senza difesa. Io, dopo che lui aveva massacrato in due round Joe Frazier e sembrava imbattibile, avevo messo a nudo le sue debolezze pugilistiche e psicologiche''.
Muhammad Ali


Quando Eravamo Re
In questi giorni ho rivisto stravolentieri (per la quarta, la quinta? volta) ''When We Were Kings'', (Quando Eravamo Re). Non si tratta solo dell'incontro di pugilato tra George Foreman e Muhammad Ali, con in palio la corona mondiale dei pesi massimi, ma pure di una riflessione sull'identità afroamericana e una battaglia politica. Nel 1974, in Zaire (l'attuale Repubblica Democratica del Congo), al seguito dei due pugili e dei musicisti (James Brown, B.B. King, The Spinners...) scritturati per partecipare a una sorta di Woodstock nera, c'era Leon Gast, che filmò i concerti, gli impresari e la popolazione. Ci sono voluti 22 anni al regista per trovare i finanziamenti per terminare il film, per ridurre a un'ora e mezzo le 173 ore di materiali girati. Il documentario ha poi vinto nel 1997 l'Oscar nella sua categoria.

Assistere al documentario di Leon Gast è un'esperienza commovente ed emozionante come poche altre. Perchè è ben costruito, formalmente e concettualmente. Perchè è sincero. Perchè tratteggia un personaggio amabile in maniera precisa senza essere ''partigiano''. Perchè rende protagonista una pagina mitica dello sport contestualizzandola in quella più ampia e importante della storia. Perchè solleva questioni, informa, diverte, commuove, partecipa e si riallontana al momento giusto per lasciare che ognuno tragga da solo le proprie conclusioni. Zaire, 1974. Alì sfida George Foreman, campione dei massimi, gigante dal pugno d'acciaio. E' l'incontro decisivo della sua carriera. Attorno al ''più grande evento sportivo di tutti i tempi'' Don King (l'organizzatore coi capelli eletrizzati) costruisce uno spettacolo sensazionale, con tanto di festival musicale, le stelle più luminose della black music. Il presidente (dittatore) Mobutu assiste, dispone, finanzia. La macchina da presa si concentra sullo show esilarante del ''labbro di Louisville'' alle prese con tifosi, gente normale, ragazzini festanti. Le sue improvvisazioni, sulla falsariga delle tradizionali dozen (le estemporanee filastrocche in rima) afroamericane, potrebbero sembrare tipiche fanfaronate pre-incontro (''La notte scorsa ho ucciso una roccia, ferito una pietra e mandato all'ospedale un mattone. Sono così cattivo che faccio ammalare le medicine''). Sono, invece, un segno distintivo del personaggio Ali, che ha deciso di ''fare la differenza'', di cambiare le cose che non gli vanno a genio. Teoricamente Ali e Foreman partono alla pari per la popolazione zairese. Questo il fatto: sono entrambi figli dell'Africa. Foreman è più taciturno, ma non ha e non fa niente di particolare che possa attirare le antipatie della gente, dei fratelli neri. Quattro giorni prima del match, Foreman si spacca un sopracciglio in allenamento e l'incontro viene rinviato di sei settimane. In quei giorni, girando alla ricerca delle proprie radici e di quanto gli africani ''erano re'', Ali diventa l'idolo popolare e tutti si schierano dalla sua parte. Nasce così il grido ''Alì, boma ye'' (Alì, uccidilo), che l'accompagnerà, dentro e fuori dal ring, sempre più forte, sempre più potente, più convinto. Perchè Alì è il loro fratello, sebbene anche più chiaro di pelle del suo avversario, è la loro coscenza che si ribella al mondo, è il benefattore, l'inviato di Dio, ''lo schiavo che prende a pugni la catena'', ''l'uomo che ammanetta il fulmine e ingabbia il tuono'', che danza e danza sul ring solo per poter dire: sono nero, sono libero, sono uomo. E Ali vince. Ecco il protagonista del film: la straordinaria arroganza, la spettacolare simpatia, l'eleganza dell'uomo che si muove per la pace. Che sia un leader, che faccia a pugni o che scarichi palate di merda. Difende la sua dignità e quella dei suoi simili, i loro diritti. Mentre straparla, tira ganci all'aria, dice strozate e danza è bello, è forte, è veloce. E' un leader nero che si scaglia contro l'ottusità del civilissimo occidente. Alì, boma ye. Grazie a te di esistere, Grazie a Gast di averti riportato a noi come eri veramente, difetti compresi e di averci regalato questa perla, che dimostra che gli Oscar non sono sempre una farsa. Da possedere assolutamente.


Su youtube è disponibile (per ora) l'intero documentario (in 10 round) con sottotitoli in italiano. Se per caso, nel frattempo, chi ancora non lo conosce volesse farsi un'idea....



Ali e la musica

Lo svolgimento di Quando Eravamo Re è spezzato anche da frammenti di esibizioni musicali, da James Brown agli Spinners, dai Jazz Crusaders a Miriam Makeba. Naturalmente le parti più divertenti sono le esibizioni, in gran parte improvvisate, di Muhammad Ali durante conferenze stampa, interviste, incontri per la strada. ''Ieri notte ho spento la luce nella mia camera da letto. Sono così veloce che quando ho pigiato l'interrutore, ero già a letto prima che la stanza diventasse buia''. Il produttore discografico e finanziatore del film David Sonenberg: ''Dopo aver finito il film mi sono accorto di una cosa stupefacente. Molti dei giovani artisti rap non hanno idea di chi sia Ali. Sanno che era un pugile e basta. Perciò sono contento di aver fatto un film che presenta Ali come mi apparve da subito... il primo rap originale''. E' facile essere daccordo con Sonenberg se pensiamo agli anni di formazione di Ali, un poeta spontaneo e contagioso. Le battaglie dei diritti civili di Martin Luther King, Malcolm X, le Black Panthers che vendevano libri per finanziarsi agli angoli delle strade di Harlem, dove si esibivano ''The Last Poets'', un trio di predicatori musicali con ivettive anticapitalistiche e d'orgoglio afroamericano.



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