domenica 28 febbraio 2010

A Raw And Beautiful Thing




Man'ish Boy (A Raw And Beautiful Thing) è un disco con i fiocchi. Il lavoro di Darius Jones e del suo trio sorprende non solo perchè si tratta di un esordio (anche se a coadiuvarlo sono lo stratosferico Cooper Moore al basso e l'ottimo Bob Moses alla batteria), ma soprattutto per l'alto tasso qualitativo di otto tracce sudate e viscerali che grondano blues e gospel malato da tutti i pori. Per una recensione più dettagliata (aspetti tecnici o quant'altro) vi lascio ai tipi di Allaboutjazz . Per quanto mi riguarda, mi premeva segnalare e consigliare (caldamente) questo lavoro, perchè lo considero uno dei dischi di impro-jazz (o fre jazz, se preferite) più belli degli ultimi tempi.
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Piccole-grandi meraviglie del jazz # 6: Archie Shepp - Attica Blues (Impulse!, 1971)




Un classico dell'epoca in cui il jazz era ''militante'', ma anche disposto a lasciarsi infettare dal gospel e dalla ''funkadelia'' di Sly Stone e George Cliton. Il blues intonato in onore dei 43 carcerati uccisi pochi mesi prima, durante una rivolta nel penitenziario di Attica è insieme struggente e avventuroso. L’album contiene dieci tracce, inclusi due interludi, tutte di altissimo livello e si apre con il brano che da il titolo al disco ''Attica Blues'', appunto, uno standard riaffiorato con prepotenza già ai tempi dell'acid jazz (ricordate i Galliano?), un misto di spiritual, jazz e funk indiavolato (due bassi, quattro percussioni, una chitarra con wah-wah a manetta, violini, tastiere, la voce di Henry Hull...) all’interno dei quali Archie trova l’alchimia giusta per dare vita ad un classico senza tempo.
 


''Steam'' è una meravigliosa partitura dove la voce di Joe Lee Wilson si incatena perfettamente al sax di Shepp. Il monumentale ''Blues for Brother George Jackson'' è classico R&B portato tra le mani di un maestro. ''Ballad For A Child'' (vibrante protesta con grandi dosi di lirismo) e ''Good Bye Sweet Pops'', hanno verve ellingtoniana (al lavoro c'è una big band vera e propria in cui figurano i solisti del rango di Marion Brown, Leroy Jenkins e Billy Higgins). ''Quiet Dawn'' è un tema strano, quasi irreale (cantato e composto, sembra, dalla stessa figlia di Shepp con 7 anni d'età) a chiudere un disco che, assieme al successivo ''The Cry Of My People'' (download) rappresenta una delle pagine più alte del jazz ''militante'' di sempre.


Piccole-grandi meraviglie del jazz # 5



Ne succedono di tutti i colori nel mondo del jazz. E allora capita anche che un doppio concerto del quartetto di Monk con Coltrane al sax tenore (Ahmed Abdul-Malik al contrabbasso e Shadow Wilson alla batteria) al Carnegie Hall il 29 Novembre 1957, debitamente registrato e archiviato, sia destinato a non uscire mai in disco. Almeno fino (pensate un po) al 2005. Della serie nastri a lungo dimenticati. Si, perchè si trattava di di più nastri, dato che quel giorno in cartellone c'erano, per due concerti ciascuno, uno serale e uno notturno, altri personaggi del calibro di Billie Holiday, Dizzy Gillespie, Ray Charles, Chet Baker, Sonny Rollins. Della decisiva collaborazione Monk-Coltrane, c'erano (e ci sono) a disposizione pochissime cose. Per fortuna allora che almeno è arrivato questo documento da leccarsi i baffi, anche se con quasi cinquant'anni di ritardo. I pezzi sono tutti straordinari (il fervore e la passione di Coltrane in Nutty, i leggeri incalzanti interventi e le fulminanti invenzioni di Monk in Epistrophy e Blue Monk?....). Coltrane è ormai sulla soglia del suo ingresso nel campo del jazz più libero. Monk non è ancora entrato nella fase completamente matura, quindi è tutto asprezze felici. Il classico capolavoro!

sabato 27 febbraio 2010

Piccole-grandi meraviglie del jazz # 4

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Download

Sulle strade d'Europa il pianoforte di Abdullah Ibrahim e il contabbasso di Johnny Diani si erano già incontrati, nomadi ed esuli in terre straniere ma con la musica e l'orgoglio dell'essere sudafricani cuciti dentro. Gli echi che rimbombano nello studio di registrazione a Ludwigsburg (Germania) non sono affatto lontani, suonano chiari e distinti, emanano calore e rimpianto, tenerezza e forza, fede e spiritualità. Quattro brani quattro, per sancire un capolavoro non abbastanza conosciuto. Namhanjie è una lunga e ipnotica invocazione in cui strumenti e voci cantano avvolgendosi come in una spirale. Lakutshonilanga è una tenera ballad che ritrae un alba, mentre in Saud la dedica è doppia. Il pianista McCoy Tyner ne è destinatario, in quanto protagonista del jazz ma anche come musulmano, la religione che nei primi anni Sessanta scelse Dollard Brand diventando Abdullah Ibrahim. Con Zikr (Remembrance of Allah), infine, approdiamo alla preghiera, un'invocazione intessuta di speranza in cui l'arabo si mischia agli accordi di piano che richiamano il gospel e gli inni battisti ascoltati da Ibrahim (come dichiarerà) nella sua infanzia. Stupefacente!
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Persone che sanno come dirre addio

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Ieri, 26 febbraio 2010, Johnny Cash avrebbe compiuto 78 anni. A sette anni di distanza dalla sua morte, esce invece il secondo disco postumo dell'uomo in nero. Quando muore un'artista, ancor di più se una leggenda come Cash, c'è sempre il rischio di grattare il fondo del barile nel far uscire a tutti i costi una raccolta di canzoni rimaste inedite. E invece, anche l'ultimo capitolo della collaborazione fra Cash e Rick Rubin, ''American VI: Ain't No Grave'' rappresenta, a suo modo, una delle tappe importanti di una vita artistica già di per se memorabile. Le session di registrazione vennero effettuate nel corso del 2002, pochi mesi prima della scomparsa di Cash che aveva appena seppellito sua moglie June, e la sua salute stava peggiorando notevolmente. Non c'è da stupirsi, quindi, se anche le dieci tracce di questa ultima tappa dei suoi American Recordings sono pervase di mortalità, anche se Cash dichiarerà senza paura: ''Nessuna tomba potrà trattenermi''. Una tappa importante, si diceva, in virtù della sensibilità estrema con cui questo singing cowboy accosta ancora una volta le sue canzoni nonostante la sofferenza, non solo per la malattia che lo stava consumando, ma anche per una vita sospesa fra eccessi e un religiosissimo senso del peccato, che rendono sempre i suoi pezzi dichiarazioni di amore tenerissimi e toccanti. Anche la formula è sempre la solita: arrangiamenti essenziali, qualche cover (brani di Sheryl Crow, Kris Kristoferson , Tom Paxton...), un originale ("First Corinthians", tra le ultime cose scritte da Cash) e qualche brano tradizionale riarrangiato tra i quali spicca anche quello della title track con quelle parole ''Ain’t no grave that can hold this body dow'' che fanno venire i brividi. Ci sono persone che sanno come dire addio.
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Un salto nel sixties garage # 7: The Standells







Gli Standells iniziano soprattutto come cover band e, come nel caso dei Chocolate Watchband, sono una creatura del geniale produttore Ed Cobb. Alcuni dei loro dischi sono considerati dei veri classici del genere. Formati a Los Angeles nel 1961 da Larry Tamblyn (tastiere e violino) e dall'italiano Tony Valentino (chitarra), e in seguito convertitisi al sound dei Rolling Stones, furono i proto-punk per eccellenza, anni prima che fosse di moda fare i teppisti sporchi e selvaggi. Per qualche anno si limitarono a pubblicare 45 giri di serie B e a comparire in film e trasmissioni televisive, poi arrivò ''Dirty Water'', il brano più provocante dell'estate del 1966 da cui prese il nome il loro disco forse più celebre e indovinato (con un repertorio infallibile che comprende anche ''19th Nervous Breakdown'' e ''Hey Joe'') assieme al successivo ''Why Pick On Me'' dello stesso anno. Rozzi e duri sono la punk band più amata del periodo.
 

Un salto nel sixties garage # 6: The Kingsmen




Sono del Northwest (Portland, Oregon, per la precisione) e sono considerati tra i precursori del garage sound. Nati infatti nel 1957, hanno suonato nelle balere e nei bar per circa otto anni, fino a quando non hanno inciso la mitica ''Louie Louie'', il classico immortale che ha loro permesso di raggiungere la notorietà mondiale e di creare anche le basi di uno stile. ''Louie Louie'' è il chiaro esempio di un tipico brano che ha definito un epoca (ad oggi esistono 1200 cover ufficiali della canzone). La carriera dei Kingsmen è tuttavia ricollegabile quasi solo a questo brano e non hanno poi saputo ripetersi sul medesimo standard. In seguito Don Gallucci ha fondato Don and the Goodtimes.

venerdì 26 febbraio 2010

Un salto nel sixties garage # 5: Count Five




Altra band di San José, molto mitizzata, soprattutto per l'anthem (top 10 in Usa) ''Psychotic Reaction'', ma nonostante il successo del singolo rinunciano ad esibirsi in pubblico per continuare i propri studi, caso abbastanza unico nella storia del rock. Il loro album ''Psychotic Reaction'' (1966) rimane uno dei grandi classici del suono garage, con la sua miscela di blues, british beat e chitarre distorte tipiche del suono californiano di quel periodo.


Un salto nel sixties garage # 4: Chocolate Watch Band



Download Part One & Two


Questi grandi del garage sound, riscoperti con gli inizi degli anni ottanta, mitizzati fino all'inverosimile nella decade precedente, sono, assieme a Seeds, Standells e pochi altri, tra le punte di diamante dell'acid punk. Hanno rifatto Stones e Kinks con una propria visualità, introducendo brani mistici in un ambito garage-punk. Per questo rimangononuno dei capisaldi del suono targato sessanta. Originari di San José devono gran parte della loro notorietà anche al produttore Ed Cobb, ed a un paio di canzoni che sono ormai dei classici: ''Let's Talk About Girls'' e '' Ain't No Miracle Worker'' .


Un salto nel sixties garage # 3: The Shadows Of Knight


 

 

Download

Al contrario dei Sonics questi ragazzi di Chicago hanno avuto, nell'arco della loro effimera carriera musicale, abbastanza fama e vari riconoscimenti, ma la loro esistenza è stata comunque molto molto breve. Jim Sohns e la sua band nascono con il blues nelle vene (non a caso sono di Chicago...) e l'ascolto di ''Gloria'' dei Them è il classico colpo di fulmine (e infatti puntualmente arriva una grande versione del pezzo che darà anche il titolo a uno dei loro lavori). Siamo nel 1966. Gli Shadow Of Knight rifanno garage blues rinnovandone feeling ed inventiva e arrivando, nel giro di un anno, a incidere due splendidi dischi: il citato ''Gloria'' e ''Back Door Man''. La loro breve storia termina, in pratica, l'anno seguente con la chiusura della mitica Dunwich Records.



Un salto nel sixties garage # 2: The Sonics



Il revival degli anni ottanta con il ritorno del garage sound (Cramps, Fuzztones, Chesterfield Kings ... ) e, più di recente, i blog specializzati in questo tipo di musica, hanno permesso la riscoperta di molte band degli anni sessanta, passate quasi completamente nel dimenticatoio, non solo nella decade seguente, ma anche durante il loro periodo di esistenza. I rivalutati Sonics sono uno degli esempi lampanti: oggi sono considerati un gruppo fondamentale di quegli anni, per merito anche di un pugno di notevoli canzoni come ''Psycho'', ''Strychnine'' ecc. ''Selvaggi'' e ''violenti'', grazie anche alla vena del loro leader Roslie, questi ragazzi del North-west hanno inciso un paio di dischi fondamentali, di cui il primo album ''Here are the Sonics'' rimane il più fulgido esempio di puro garage-punk.


Un salto nel sixties garage # 1: The Seeds






The Seeds (1966) & A Web Of Sound (1966) unico download


Iniziamo dalla fomazione originale : Sky Saxon - voce, basso; Jan Savage - chitarra; Rick Andridge - batteria; Daryl Hooper - organo. La band di Sky Saxon (alias di Richard Marsh) nota al mondo garage per l'anthem ''Pushin Too Hard'' è uno dei gruppi più importanti (se non il più importante) dell'intera scena losangelina dei mid sixties. Richard Marsh (tra l'altro scomparso da poco, il 25 Giugno scorso ad Austin, in Texas) è nativo di Salt Lake City (1937), ma molto givane si sposta a Los Angeles dove, dopo un lungo girovagare attraverso piccole bands riesce finalmente a formare i Seeds. Nell'estate del 1966, dopo qualche singolo, esce la già citata ''Pushin Too Hard'' che diventerà un successo, spalancando ai Seeds la possibilità di incidere il loro primo notevolissimo, omonimo album. Il gruppo è immediatamente popolare, Saxon/Marsh che si diverte talvolta a firmarsi anche Marcus Tybalt è una piccola star. E così verso la fine dello stesso anno esce anche il loro secondo disco: ''A Web Of Sound'' è un'altro notevole album, impreziosito dalla lunga ipnotica suite ''Up In Her Room''. Il suono duro e grintoso di ''Pushin Too Hard'', la bellezza di ''Can't Seem To Make You Mine'', fanno comunque del primo album il classico di sempre. Nel download i due dischi sonno raccolti in un unico zip, a disposizione di chi volesse calari nel magico mondo di questa band straordinaria.

Note dal sottosuolo: le radici di psichedelia e garage


 
La psichedelia o acid rock ha la sua nascita ufficiale verso la metà degli anni sessanta nel quartiere di Haight-Ashbury in quel di San Francisco: nascita ufficiale, in quanto le cronache hanno descritto la musica psichedelica prima nella Bay Area, poi, con qualche anno di ritardo, hanno scoperto la sua esistenza, più o meno avvenuta nello stesso periodo, anche in Texas, a Los Angeles ed a New York. Il termine psichedelia, inteso musicalmente, sta a significare musica creata ad hoc per i ''viaggi'' sotto l'effetto di acidi e droghe varie. Le principali band di Haight-Ashbury (cioè Jefferson Airplane, Greateful Dead, Quicksilver Messenger Service...) avevano creato un suono abbastanza particolare: brani piuttosto lunghi rispotto i canoni dell'epoca, effetti elettronici, uso di musica orientale, indian raga e, molto importante, l'introduzione dell'improvvisazione nella musica rock, alcune volte con risultati dubbi ma, come per esempio nel caso di ''Dark Star'' dei Greatefule Dead o di ''Happy Trails'' dei Quicksilver, anche con invenzioni ed idee che hanno contribuito a rendere adulto il rock tutto e a creare i primi connubi con una free form che è poi sfociata anche nel jazz-rock. La psichedelia si è poi sviluppata a macchia d'olio nel corso della seconda parte dei sessanta, con decine e decine di nuovi gruppi, tanto da creare un genere: non tutta la musica che si riferiva alle droghe però era necessariamente psichedelica, mentre la musica psichedelica stessa non si doveva riferire necessariamente alla droga.
 


La psichedelia traeva le sue radici da alcune forme avventurose di garage punk dei mid sixties, sviluppatesi per lo più nella zona urbana di L.A. e nel Texas, raccolte (alcune di esse) in un album che ha iniziato tutto, cioè il mitico ''Nuggets'', curato da Lanny Kaye: per questo ho deciso di dare il via a una serie di post che vogliono essere un piccolo ripasso della musica garage degli anni Sessanta, con qualche diramazione nell'ambito della già citata psichedelia (o acid rock), prendendo in esame, molto brevemente, alcuni dei gruppi più importanti del settore, segnalando dischi basilari, ed anche, magari, qualche gruppo minore, ma che oggi viene considerato altrettanto importante, grazie alla grande velocità con cui questi materiali (alcuni dei quali prima rarissimi oggetti del desiderio, anche se i vinili continuano ad esserlo) stanno correndo in rete e sono sempre più facilmente a disposizione di chiunque voglia ascoltarli.



Per concludere vi anticipo una piccola lista con alcuni dei gruppi che saranno (o potrebbero) essere oggetto dei prossimi post (un po' per volta...): Blue Magoos, Chocolate Watch Band, Count Five, Electric Prunes, Fire Escape, Haunted, Kingsmen, Litter, Love, Question Mark & The Mysterians, Music Machine, Remains, Rising Storm, Seeds, Shadows Of Knight, Sonics, Standells, Moving Sidewalks, Strawberry Alarm Clock, We The People ... per il garage; 13th Floor Elevators, Big Brother & The Holding Co., Country Joe & The Fish, Greateful Dead, Jefferson Airplane, Kailedoscope, Charlatans, Insect Trust, Mad River, Missing Links (australiani), , Steve Miller Band, Moby Grape ecc.. per la psicheleia e il blues psichedelico.

mercoledì 24 febbraio 2010

Ascoltate e godetene tutti!

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Lo avevo anticipato in occasione del primo singolo Kala Djula (la copertina è rimasta praticamente la stessa), e ora è finalmente uscito il tanto atteso oggetto del desiderio, l'ennesimo (più o meno annunciato), capolavoro maliano. Comprate questo disco!!! Il download servirà solo a verificare la veridicità della mia affermazione, dopo di che, quando ne avrete preso atto, già saprete come spenderete bene i vostri soldini. Non serve aggiungere altro; ascoltate e godetene tutti!
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ALI FARKA TOURE & TOUMANI DIABATE
Ali Farka Touré & Toumani Diabaté
(World Circuit-Nonesuch, 2010)
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Download
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Piccole-grandi meraviglie del jazz # 3: Charlie Mingus - Blues And Roots (Atlantic, 1959)


CHARLES MINGUS 
Blues And Roots (Atlantic, 1959)
 

In risposta ad alcuni critici che lo accusavano di non lavorare troppo di swing con la sua musica, Charles Mingus distilla il miglior concentrato di blues e gospel mai udito prima in un disco di ''sedicente'' jazz. Il leader assume il ruolo di predicatore già dall'iniziale, circolare ''Wednesday Night Player Meeting'' stimolando il poderoso ensemble che lo accompagna (i formidabili sassofonisti Booker Ervin e Jackie McLean) anche verbalmente, proprio come avveniva nelle congreghe ecclesiastiche. Esuberante nelle sue radici popolari, questo è il Mingus più spirituale e dissacrante allo stesso tempo, capace di mettere a segno un vertiginoso capolavoro di libertà espressiva, molto rispettato anche dall'universo rock.


Piccole-grandi meraviglie del jazz # 2: Max Roach - We Insist! Freedom Now Suite (Candid, 1960)



Ancora un disco di impegno civile da parte di uno dei più grandi batteristi della storia del jazz che fonda la propria etichetta discografica (Candid) per poter elevare la sua protesta contro il razzismo e dichiarare il desiderio di emancipazione. I versi del poeta dissidente Oscar Brown vengono così affidati alla drammaticità vocale dell'allora moglie di Max Roach, Abbie Lincoln, mentre le percussioni dello stesso batterista si legano agli esuberanti interventi dello sfortunato trombettista Booker Little e del veterano sassofonista Coleman Hawkins (altri due mostri sacri del jazz). Il clamore attorno al lavoro fu così risonante da decretarne il boicottaggio in vari territori, tanto che al musicista fu permesso di rientrare in studio di registrazione solo dopo sei anni. Valenze sociali a parte, musica di eccelsa qualità.


martedì 23 febbraio 2010

Piccole-grandi meraviglie del jazz #1




Acchiapatelo al volo questo disco! Se non è un ordine, poco ci manca. Primo appuntamento con ''piccole/grandi meraviglie del jazz'': si inizia con ''Heart Is A Melody'', un lavoro registrato dal vivo il 23 Gennaio del 1982 a San Francisco, California, e più precisamente al Keystone Korner, dove salirono sul palco il mitico sassofonista Pharoah Sanders e tutti gli altri conponenti della sua formazione di allora (la lista completa sotto). L'lp uscì un anno dopo per la Therese records, ma per la fortuna di chi, come il sottoscritto, ha amato alla follia questa meraviglia, nel 1993 ha visto la luce anche una ristampa della Evidence records (questa volta in cd, e con l'aggiunta due tracce bonus:le bellissime "Naima"e "Rise 'n' Shine") . Il disco inizia con una versione da pelle d'oca di 22 minuti di ''Olé'', con un Sanders in stato di grazia che omaggia Coltrane e l'Africa sputando l'anima nel suo sassofono e arrivando pure, in una sorta di trance, a liberarsi per pochi secondi del suo strumento per gridare assatanato il tema portante solo attraverso l'uso della voce, che tornerà ad usare anche in "Goin' to Africa (Highlife)", un r&b/jazz di rara intensità emotiva, aspetto quest'ultimo che accomuna tutti brani del lavoro, assieme al forte senso di apparteneza e alla rivedicazione delle proprie origini africane. Formazione : Pharoah Sanders (vocals, tenor saxophone); Jes Muir, Kris Wyn, Mira Hadar, Cort Cheek, Debra McGriffe, Janie Cook, Flame Braithwaite, Andy Bey (vocals); Paul Arslanian (whistling, bells); Bill Henderson (piano); Idris Muhammad (drums).



Ribattezzato Pharoah "il faraone" da Sun Ra, Sanders e' di certo una delle figure piu' importanti della storia del sassofono. Ornette Coleman lo considera "probabilmente il miglior tenorista al mondo". Nativo di Little Rock, Arkansas, fa' il grande passo verso New York nel 1961, dove in vero non ha molta fortuna, non riuscendo a vivere di musica e finendo col sopravvivere la giornata alla meno peggio, talvolta dormendo in strada. Dopo essere entrato in contatto con Sun Ra, Don Cherry e Billy Higgins, nel '63 ha un ingaggio col suo primo gruppo al Village Gate, ed e' toccato dalla fortuna poiche' tra il pubblico c'e' John Coltrane, che gli chiedera' di far parte del suo gruppo in modo ufficioso verso la fine dell'anno successivo. Coltrane fin da subito incorpora nel suo modo di suonare lo stile piu' sanguigno e free del giovane collega. Sanders e' stato per lui una fonte d'ispirazione insostituibile, forse ancor piu' significativa di Rollins e Dolphy, e con Coltrane ha forgiato uno stile, un modo d'intendere il jazz ed il sassofono assolutamente immortale. Dagli anni 70 in poi Sanders esplora altri stili oltre al free, tra cui R&B e hard bop, senza mai far calare d'intensita' la propria musica, ed aprendosi verso un pubblico disposto ad apprezzare maggiormente jazz non troppo complesso. Nel corso dei decenni Pharoah diventa un musicista maturo e completo, capace di spaziare fra diversi idiomi, ed oggi il suo stile non e' free come decenni fa', ma molto lirico e pieno di sostituzioni coltraniane.

domenica 21 febbraio 2010

Punk su carta

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MUSAC
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Qualche giorno fa ho ricevuto la chiamata di un amico spagnolo che voleva salutarmi e chiedermi come me la passavo. Dopo aver ricambiato il saluto gli domandai dove si trovasse in quel momento e mi rispose che era appena uscito da un interessante esposizione inaugurata a fine gennaio presso il MUSAC (Museo d'arte contemporanea) di León. La descrizione sommaria che mi fece della mostra mi incuriosì, così sono andato sul link del museo e mi sono messo a smanettare su internet per saperne di più; l'esposizione si chiama LOUD FLASH, Punk británico sobre el papel. The Mott Collection, e in sintesi è un ripasso all'estetica e alle politiche del punk che si basa soprattutto su un importante collezione privata dell'artista britannico Toby Mott, con materiali originali che lo stesso Mott avrebbe raccolto a Londra dal 1975 al 1985 durante gli anni della sua adolescenza, con preziosi cimeli grafici del movimento controculturale dell'epoca (''un momento unico, l'ultimo grande movimento giovanile globale'' secondo Mott).



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In una Inghilterra in crisi a causa della crisi petrolifera del 1973, della disoccupazione e dell'IRA, il punk rappresentò un repellente in grado di generare un forte immaginario audiovisivo: ''Il dadaismo, l'arte pop e l'Internazionale Situazionalista gettarono le basi di un linguaggio crudo e facilmente riconoscibile. L'intenzione era lanciare messaggi nichilisti senza mirare al passato'' (Mott). Anche attraverso posters, fanzins, copertine di dischi e flyers, accessibili ed economici; un'alternativa valida a televisione e radio attraverso uno spirito esattamente opposto a quello dell'omologazione. Una rivendicazione da parte di un mondo che faceva dell'imperfezione la sua bandiera (anche se poi viene da sorridere pensare a come anche un mesaggio così autodistruttivo con il tempo si sia trasformato in un espediente visuale di puro marketing).
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Sotto solo alcuni dei cimeli raccolti nell' esposizione:
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X-Ray Spex flyer (Anonimo). La band di punk al femmine X-Ray Spex annunciava con questo foglietto fotocopiato uno dei suoi primi concerti. Il collage di moda, musica e diversione presentato dalla band anticipò e ispirò il movimento dei primi anni novanta denominato riot grrrl (''Sorprende come la sua energia trafigge il foglio. E' tutto quello a cui il punk aspirava e doveva essere'' Mott)

La copertina di ''Orgasm addict'' (Buzzcocks). Nel 1977 la cantante, musicista (Ludis ecc), artista (sul palco e fuori), visual artist prima ancora e sino ai nostri giorni, Linda Mulvay in arte semplicemente Linder Sterling (Liverpool, 1954), disegnò una delle immagini arty più importanti dell'iconografia punk che, a distanza di 33 anni continua a far parlare di se. La copertina in questione presenta un collage con una donna con al posto della testa un ferro da stiro. Sterling spiegò poi che ''the iron came from an Argos catalogue and the female torso came from a photographic magazine called "Photo". I never cleared the copyright but no one noticed, so it was alrigh'' (traduzione: il ferro da stiro è stato preso da un catalogo della Argos mentre il torso della donna è stato preso da un magazine chiamato "Photo". Non ho mai ottenuto un'autorizzazione, ma nessuno se ne accorto, quindi era ok).

Sniffing Glue. Fanzine seminale del 1976 che il suo creatore, Marc Perry (Alternative TV), chiuse un anno dopo dando esempio di una immaculata attitudine punk. Perry se ne fotteva della forme ortografiche, grammaticali o della resa estetica e mise insieme mucchi di fogli con titoli scritti a mano e con umore sfacciato.
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My rules photozine. Il punk superò le frontiere. Ce lo insegna il primo e unico numero di questa pioniera photozine, ideata dal fotografo Glen E. Friedman nel 1982, che documentò la scena punk-hard-core nord americana, creando il primo vincolo tra il punk e la cultura skate.
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La copertina di ''God save the queen'' (The Sex Pistols). L'artista britannico Jamie Red creò uno delle più grandi icone pop del ventesimo secolo ispirandosi ai manifesti del maggio del '68. Una delle immagini più rivisitate che invita ogni nuova generazione a chiedersi: che cos'è punk oggi?

Una discografia in levare # 2: The Congos - Heart Of The Congos



I Congos sono uno dei gruppi più importanti della storia del roots-reggae giamaicano. Noto per lo straordinario carisma, lo spiritualismo e i raffinati preziosismi tecnici (grazie anche alla produzione di quel genio di Le ''Scratch'' Perry), il gruppo è composto da Cedric Myton, Roydel Johnson Hanover e, più tardi, da Watty Burnett. L'esperienza maturata in precedenza con i Tartans e le varie collaborazioni (soprattutto con i Royal Rasses) spingono Cedric MYnton a fondare un proprio gruppo vocale: i Congos, appunto. La sua caratteristica voce in falsetto e il tenore di Roydel Johnson sono in perfetta armonia e diventano il marchio di fabbrica dei Congos, differenziandoli da ogni altro gruppo reggae. L'incontro con Lee Perry in una zona di Kingston chiamata Washington Gardens, dove si trovano tutti i maggiori studi di registrazione, è la scintilla da cui scaturisce la progettazione dell'album Heart Of Congos.




All'interno dello studio, la batteria è separata dal resto della sala da un pannello, chitarra e basso sono sul lato destro, a sinistra c'è la tastiera e al centro i microfoni per l'eventuale sezione fiati presente alle prove o alle registrazioni. Il cantante o i cantanti sono separati da un altro pannello plastificato e Perry, gestisce dietro alla sua infernale consolle e registra tutto su un 4 piste. Consederato a ragione uno dei capolavori degli anni Settanta nell'ambito della musica giamaicana, l'album beneficia della grande professionalità degli stessi artisti, ma anche del produttore e dei fonici presenti.




Le prime canzoni registrate per il disco sono Solid Foundation, Children Crying e Sodom And Gomorrow. Children Crying è cantata con Candy McKenzie, mentre La La Bam gode dell'accompagnamento delle splendide voci di Gregory Isaacs, dei Meditations e di due dei tre componenti degli Heptones. Se Congoman è basato su un trascinante ritmo tribale, Fisherman e Solid Foundation sono due perfetti esempi della grazia del fasetto di Myton, mentre Open The Gate e Sodom And Gomorrow hanno una decisa impronta spirituale (o ''militant-roots'') e trattano temi a sfondo religioso.




Poco dopo l'uscita del disco Watty Burnett abbandona il gruppo, seguito ben presto da Roydel Johnson. Rimasto solo, Cedric Myton prosegue estemporaneamente la carriera musicale, ma con risultati che non si possono minimamente paragonare a quelle spettacolari di Heart Of Congos. A causa di una lite scoppiata tra il produttore Perry e la Island, Heart Of Congos viene stampato solo in Giamaica dall'etichetta Black Ark di proprietà dello stesso Perry, senza ricevere distribuzione all'estero. Bisogna aspettare il 1996 perchè Steve Barrow e la sua etichetta Blood & Fire ristampino il disco (in 2 cd, foto sotto) con l'aggiunta di di alcune canzoni. Esiste anche una versione deluxe (sempre in 2 cd) del 2008, pubblicata invece dalla 17 Nort Parade.


sabato 20 febbraio 2010

O Hawai'i Nei appendix (una piccola discografia "hawaiana")

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GABBY PAHINUI & RY COODER
The Gabby Pahinui Hawaiian Band Vol 1 (Panini 1975, 1991)
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BOB BROZMAN & CYRIL PAHINUI
Four Hands Sweet & Hot (Windham Hill Records, 1999
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Download

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Ry Cooder e Bob Brozman sono due diavolacci. Ormai se le sono fatte quasi tutte. Le musiche dell'altra parte del mondo intendo. Ry e Bob sono quel genere di artisti che portano a spasso le loro chitarre con la stessa naturalezza con cui i comuni mortali escono fuori con il cane. E come si sa, quando si incontra un altro essere dotato del medesimo animale, si incomincia a scambiare qualche parola, indipendentemente dalla rispettiva classe sociale di apparteneza. Così Cooder e Brozman, ovunque vadano si siedono e si mettono a suonare, convincendo sempre tutti che è bello scambiarsi opinioni chitarristiche. Questi due artisti, statunitensi che del loro paese si terrebbero soltanto qualche brindello country e una bottiglia di blues d'annata gettando a mare tutto il resto, devono essersi stropicciati gli occhi dalla gioia alla vista di tali messe di ukulele e chitarre di recupero giunte lì attraverso chissà quali baratti. Senza contare il fascino di voci suadenti come solo da quelle parti sanno esserlo. Questi due dischi (in compagnia, rispettivamente, di Gabby Pahinui e di Cyril Pahinui) rappresentano al meglio alcune delle loro paradisiache gite hawaiiane.
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TAJ MAHAL & THE HULA BLUES BAND
Hanapepe Dream (Tradition & Moderne, 2001)

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Sornione e solare, divertente e sognante. Dal disco di Taj Mahal in compagnia della sua band delle Hawaii (Hula Blues Band) spira una piacevole brezza insulare e si sprigionano fragranti profumi tropicali. Il gusto carismatico musicista ha qui riunito quattro brani tradizionali di diversa matrice (ad esempio caraibica, degli anni intorno al 1930, nel caso di King Edward's Throne), due sue composizioni, una della Hula Blues Band, una di Richie Havens, una di John Hurt e l'ennesima All Along the Watchtower di Bob Dylan. In chiusura uno strumentale d'origine misteriosa (ma con gli inconfondibili glissando delle chitarre hawaiiane), che da il titolo al disco. La contagiosa rilassatezza con cui il lavoro è stato realizzato si percepisce all'ascolto ed è già un valido motivo per sguazzare beati tra le note ed i suoni di questa produzione. Una meraviglia!
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ARTISTI VARI
The Rough Guide Hawaii:
Slide and Slack Key Surfing Sound (World Music Network, 2001)
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Un gioiello. Compilation (forse una delle migliori della serie) che, con gusto, passa in rassegna alcuni degli artisti più rappresentativi di quelle terre (ma soprattutto acque). Se non possedete nulla in tema e voleste mettermi un po' di questa musica in casa, consiglierei di iniziare proprio da qui. Se fate il download e una volta estratto lo zip vi viene chiesta la password, copite e icollate questa: posted_first_at_chocoreve
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ARTISTI VARI
Hawai'i: Under The Rainbow (Winter & Winter, 2006)
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A differenza di quanto si potrebbe pensare non si tratta di una compilation intesa a rieditare senza logica vecchie matrici buone per gli amanti dell'exotica. E' stato lo stesso proprietario dell'etichetta, Stefan Winter, a recarsi di persona nel paradiso terrestre hawaiano nel tentativo di raccogliere e documentare, come una sorta di novello Alan Lomax, quanto ancora rimane di un mondo da lui sinora immaginato, come egli stesso ha dichiarato, ''attraverso i quadri di Paul Gauguin e le visioni del Taboo di Murnau''. Registratore e microfono alla mano il suo percorso si è snodato in particolare sull'isola di O'ahu, tra canti dolcissimi, piccole percussioni, chitarrine, ukulele e steel guitar. La presenza più avvertita è comunque quella del rumore delle onde.
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MIKE COOPER
Rayon Hula (Hipshot, 2004-Room 40, 2009)

Download

Mike Cooper, compositore britannico di stanza a Roma con un amore di lunghissima data per l'arcipelago polinesiano e Haiti in particolare (a partire dalle camice che indossa) ci inoltra al disco più sperimentale del loto: Rayon Hula, uscito nel 2004 in edizione limitata per la Hipshot, etichetta personale dello stesso Cooper, e appena ristampato (ma sarebbe meglio dire riproposto in download) dalla Room 40. Per maggiori informazioni vi rimando allo splendido post di Borguez dedicato al disco dal quale potete anche accedere a una interessante intervista di Daniela Cascella al compositore.


venerdì 19 febbraio 2010

Special Podcast 2: O Hawai'i Nei (by Ethnomusic podomatic)

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O Hawai'i Nei (part 1)
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01. Ktuh Manoa Music Library - Ku’u Apai (Song of Welcome)
02. George Kainapau - O Mauna Kea
03. Alfred Apaka - Hawaiian Wedding Song
04. Ktuh Manoa Music Library - Unknown Groove
05. Linda Dela Cruz - E Mama E
06. Marlene Sai - Ku Kuna Okala
07. Ktuh Manoa Music Library - Unknown Groove
08. Ktuh Manoa Music Library - Unknown Groove
09. Lena Machado - Ho'onanea
10. Ktuh Manoa Music Library - E Mama E
11. Charles Kaipua and his Happy Hawaiians - My Yellow Ginger Lei
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O Hawai'i Nei (part 2)
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12. Benny Kalama - Kealoha
13. Lena Machado - Mai Lohilohi Mai Oe
14. Lena Machado - Kalena
15. Ktuh Manoa Music Library - Unknown Groove
16. Lena Machado - Holau
17. Ktuh Manoa Music Library - Unknown Groove
18. Charles Kaipua and his Happy Hawaiians - Seabreeze
19. Bill Ali’I Lincoln - Ku’u Milimili
20. Ktuh Manoa Music Library - Unknown Groove
21. Lena Machado - Kaulana O Hilo Hanakahi
22. Linda Dela Cruz - Keala Ka
23. Richard Kauhi – I Ka Pono Ka Aina
24. Elma Kaulani Bishop - Unknown Groove
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O Hawai'i Nei (part 3)
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25. John Pi’ili Watkins - Nanakuli
26. Linda Dela Cruz - Baby E Kuulani E Kuulei
27. Mahi Beamer - Unknown Groove
28. Lena Machado - Kauoha Mai
29. Lena Machado - The Keyhole Song
30. Genoa Keawe - Hula O Makee
31. John K. Almeida - Ka Punahou
32. Genoa Keawe - Maunaloa
33. Gabby Pahinui - I Ka Po Meke Ao
34. Genoa Keawe - Pupu A’o Niihau
35. Hilo Hattie (Clara Inter) - Hilo Hop
36. Gabby Pahinui - Hame Pila
37. Andy Iona - Honey, Let’s go for Broke
38. Ktuh Manoa Music Library - It’s so good to be home
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Calypso a Go-Go appendix # 2 (una piccola discografia calypso)


Piccola discografia calypso

ANDRE TOUSSAINT
Bahamian Ballads - The Songs of Andrè Toussaint (Naxos, 2002)


Originario di Haiti, Andrè Toussaint ma si trasferì negli anni '50 alle Bahamas, dove intraprese una carriera di cantante e intrattenitore che durerà fino alla sua scomparsa, nel 1981. Poi la musica: la caratteristica delle canzoni di Toussaint (bene evidenziata in questa raccolta) è la capacità di fondere con assoluta semplicità il calipso con tutta una serie di altre fonti sonore popolari. Potrebbe infatti fare un balzo sulla sedia chi distrattamente metta su il disco e si trovi a sentire "Granada", "C'est Si Bon" o addirittura "Gondolier" e "Piove" di Domenico Modugno (qui intitolata "Ciao Ciao Bambino"!!), ma l'inclusione in repertorio di brani messicani, afrocubani, francesi, americani, yiddish è resa naturale sia dalla necessità di intrattenere turisti di ogni parte del mondo, sia dalla bella personalità di Toussaint, la cui voce e la chitarra rendono con grande finezza le diverse anime di quelle fonti e le amalgamano in una piacevole creatura baciata dal sole e dagli spruzzi del mare. Dire che si tratta di un disco meraviglioso è poco, purtroppo però è difficile da trovare (poche informazioni anche in rete), ma se vi capita di incrociare il cd in una bancarella dell'usato non dovrebbe costarvi più del prezzo di un pacchetto di sigarette e sarebbe una bella botta di culo, quindi occhi aperti....




E ancora ...
ANDRE TOUSSAINT, BLIND BLAKE, CALYPSO MAMA...
Legends Of Calypso (Arc Music, 2002)





VARIOUS ARTISTS
Calypso Awakening: From The Emory Cook Collection
(Smithsonian Folkways, 2000)


ROBERT MITCHUM 
Calypso is like so... (Capitol, 1957/Scamp, 1995)
 

non basta esiste anche un box di tre cd della Trojan che si occupa delle faccende giamaicane del genere (brani dal 57 al '72) a cui andrebbe accoppiato anche ''Mento Madness: Motta's Jamaican Mento 1951-1956'' . Inutile aggiungere che a questa piccolissima discografia va aggiunta la ristampa 2009 del bellissimo ''Bahamian Songs'' di Blind Blake, disco di qui ci siamo già occupati, nel post Calypso appendix # 1.