venerdì 12 febbraio 2010

Note dal sottosuolo: UK '60 Brit Archeology

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Prendete le note di copertina di Kinkdom, lp del '66 pei i Kinks: ''Kinkdom è una terra popolata esclusivamente da mod con i capelli lunghi, stivaletti, chitarre che fanno twang, e occhi di ragazze che ti accendono... Gi eroi di questa terra si chiamano Ray, Dave, Pete e Mick'' Gli anni sono sempre quelli: 1964-1967, più o meno. E' in quel periodo che si forma, sotto la bandiera del dell' Union Jack, l'etica/estetica che ci interessa. Si tratta di una strada alternativa per l'epoca, sia musicalmente che ideologicamente, tanto al buonismo politicizzato della scena folk (che pur ci ha regalato grandissimi capolavori) che al purismo del blues-revival (idem).
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E' il beat che si imbastardisce, mantenendo però la sua anima pop. A dare la linea sono i gruppi meno legati (o meglio un po' meno legati)al suono americano ed alla black music, e più vicini all'esistenzialismo spicciolo da 45 giri, la filosofia preferita dalla generazione di Carbany street. Paradossalmente, in questo caso Beatles e Stones (e tutti quelli con cromosomi blues: Animals, Yardbirds, Pretty Things, Spencer Davis Group ecc..) interessano meno di altre band. Alle radici del (e va bene diciamolo!) brit-pop c'è piuttosto la santissima trinità mod: Who, Kinks, Small Faces. Senza dilungarsi su di loro, è piuttosto tra i peones del pop inglese del periodo che è interessante andare a curiosare.
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Gruppi con poche canzoni (i 45 giri che si citava qualche riga sopra), ma buone. Per esempio i Troggs di Reg Presley, cantante famoso per lo stile balbuziente (scopiazzato da My Generation). Noti per Wild thing e la zuccherina Love is all around, preferisco ricordarli per pezzi come Can't control myself e With a girl like you: inni ufficiali della gioventù del periodo alle prese con una libertà sessuale difficle da tradurre in pratica.
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Così come rappresentanti della voglia di sballo della working-class, con un brano favoloso come Friday on my mind, erano gli Easybeats, australiani trasferitisi sul Tamigi che avevano in comune con i Troggs (e i Kinks) il leggendario produttore Shel Tamly, in cabina di regia anche per un altro gruppo cardine della Swingin' London minore: i Creation.
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Vi siete mai chiesto da dove prendesse il nome la fondamentale etichetta inglese? Proprio da loro, sperimentatori di improbabili connubi con la pop-art (dipingevano quadri in concerto!) ed autori di una manciata di canzoni da ricordare: Biff bang pow!, Making time e soprattutto la modernissima How does it feel to feel, che se fosse riproposta e programmata in una indie-night di brit-pop attuale tra un brano e l'altro, probabilmente nessuno si accorgerebbe che è del '66. Autore di un power-pop a metà tra il puro genio e il cattivo gusto più bieco era anche il buon Roy Wood, con i suoi Move: I can hear the grass grow e Blackberry way (Tutta mia la città, vi dice niente?) devono girare ancora oggi sui piatti dei brufolosi albionici alla ricerca della perfetta pop-song.
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E poi ancora: gli Action di Reg King (
Keep on holding on, superba cover delle Marvelettes, fu il loro unico hit) e gli Eyes, e gli Attack, parenti poveri della grande famiglia mod; i John's Children, legati al icordo di Marc Bolan, ma autori in proprio di qualche buon singolo (Just what you want, just what you get) che le ragazzine nascondevano sotto le minigonne.
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E per finere la sfilza di gruppi ''pop psicadelico-vittoriani'': gli ottimi Blossom Toes, Smoke, Wimple Winch, Open Mind... Ma queste sono già altre storie. ''Dal '67 in poi, l'LSD soppianta le anfetamine, la voglia di comunitarismo e rivoluzione prende il posto del ribellismo anarchico individualista...'', e le visioni interstellari di Syd Barrett lasciano al palo gli artigiani dei tre minuti nei quali si racconta tutto un mondo. Ma il pop tornerà sempre. Perchè a volte basta poco per rendere la vita migliore a chi ti ascolta.

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