James Blake: Klavierwerke EP (R&S, 2010) |
Ascoltando ''Klavierwerke EP'' (R&S Records, 2010) dovrebbe sorgere un dubbio legittimo: è realmente dubstep, o una delle sue numerose mutazioni e/o ramificazioni, quello che stà facendo James Blake? O è al contrario una approssimazione al suono underground londinese da una posizione academica dove l’aspetto principale di questa fusione è la musica contemporanea? Per il momento le parti di piano e i silenzi costituiscono la materia estetica più importante rispetto, ad esempio, alla densità dei bassi e all'aspetto ritmico. La risposta non è sicuramente facile, ed è anche la difficoltà di catalogarne i suoni (visto che nemmeno post-dubstep può servire come etichetta di comodo) a dare a questo lavoro una posizione di spicco tra le migliori uscite nel campo delle musiche elettroniche degli ultimi mesi. Perchè Blake, pur senza reinventar nulla, ha la capacità di riuscire a sommare ingredienti che normalmente funzioanano meglio separati, ed è innegabile che l’intenzione di far cristallizzare in una tavolozza sonora le tessiture della musica accademica (frasi di piano alla Schönberg?) con l’elettronica off-club (il dub 'sabbioso' dei Rhythm & Sound?) ha generato un cortocircuito musicale davvero spettacolare.
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James Blake: CMYK EP (R&S, 2010) |
La dipendenza post-garage del bellissimo ''CMYK EP'' (R&S Records, 2010) [video] è già storia. James Blake ha dato definitivamente le spalle ai club ( lui stesso dice di preferire l’emozione dell’ascolto al ballo), il suo dancefloor ideale è quello riservato, introspettivo, agli antipodi della celebrazione esagitata, e il suo atto di coerenza è ribadito proprio dalle ossessioni home listening di ''Klavierwerke EP''. Un atto di autolesionismo puro per un dj, costretto a suonare solo con i locali vuoti o al punto di svuotarsi, quando invece un' artista di (inevitabile) riferimento come Burial, (per fare un paragone nell'ambito) ama comunque conservare un beat solido nei momenti decisivi delle sue magnifiche composizioni (penso a brani incredibili come ''Archangel'' e/o ''Raver'') e in questo senso si potrebbe pensare a ''Only Know (What I Know Now)'' [video sotto] come la naturale progressione dell’estasi paralizzante di ''Shell Of Light'' con il ricamo di un piano che sembra l’introduzione di un notturno di Chopin, una voce che (chissà) potrebbe appartenere a una diva del soul, il fruscio estatico raccolto nella puntina del giradischi, e il pitch che attacca e stacca in continuazione per creare un effetto irresistibile tra l’angelico e lo psicotico.
James Blake: The Bells Sketch (Hesle Audio, 2010) |
E se proprio vogliamo insistere con i paragoni potermmo tirare in ballo, come altro estremo, gli amici e compagni di quartiere Mount Kimbie (in uno dei post precedenti mi occupai del loro bellissimo ''Crooks & Lovers'') che Blake ha affiancato come terzo componente dal vivo in più di un occasione e con i quali continua ad avere un contrinuo intercambio di idee. Ma se il laidback di ''Crooks & Lovers'' non è poi così diverso da quello di ''Klavierwerke Ep'', Blake lascia sempre scappare alcuni secondi di dissonanza e di tensione che evitano di portare la sua musica su territori troppo rilassati/rilassanti o sfociare in eccessi pastorali; ''Don’t You Think I Do'' potrebbe essere il remix che piacerebbe tanto ad Antony qualora decidesse di dare una sua canzone in pasto alle tinte grigie e 'piovose' del dubstep (o post-dubstep, o come diavolo voliamo chiamarlo), mentre ''Klavierwerke'', il brano d’apertura che da il titolo all’EP, e ''Tell Her Safe'' riprendono il filo interrotto con le (tre) tracce del precedente 12'' ''The Bells Sketch'' (Hessle Audio, 2010), aggiungendo buone dosi di piano licquido, doppi strati ambientali, le solite gocce di techno-dub berlinese e (come detto) un atteggiamento di disprezzo nei confronti dei club che hanno portato Blake a rifugiarsi nelle personalissime introspezioni dei 16 straordinari minuti di ''Klavierwerke EP''. Teniamo d’occhio questo ragazzo.
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