sabato 23 ottobre 2010

Che senso ha una rivoluzione se non la si fa cantando?


Alain Mabanckou

Sul numero precedente (868) di Internazionale (sempre sia lodato!) è stato proposto un’interessantissimo articolo dello scrittore Alain Mabanckou uscito su Libération con il titolo ''Indépendance cha-cha'' . Nato a Pointe-Noire in Congo nel 1966, Mabanckou ora vive a Santa Monica, in California, ed è professore di letteratura francofona all’University of California, Los Angeles. Il suo articolo gira attorno a una rumba di Grand Kalle, che tutti sentivano, ballavano e cantavano nell’Africa francofona degli anni ’60, brano simbolo dell’euforica stagione dell’anticolonialismo e dell’ independenza. Allo stesso tempo l’autore, partendo dalle ''ingenue'' illusioni del suo popolo, evidenzia le contraddizioni e gli aspetti negativi del post-colonialismo alludendo all’esplosione dei conflitti etnici, degli omicidi politici e dei ''colpi di stato permanenti'' che sarebbero diventati i nuovi (tragici) caratteri distintivi del suo continente. Ripeto, l’articolo è molto interessante, e anche se non si potrebbe, non ho resistito alla tentazione di riportarne un pezzettino direttamente qui sotto. Per la lettura integrale, invece, rimane Internazionale ( volendo si può anche acquistare in formato pdf ) oppure l’originale disponibile in rete (qui), ma in francese.


L'ARTICOLO (BRANI)

Alain Mabanckou & family

Negli anni Sessanta, quando molti paesi dell’Africa francofona stavano entrando uno dopo l’altro nell’era dei ''soli delle indipendenze'', sentivamo in continuazione Joseph Kabalese, alias Grand Kalle, intonare le parole di ''Indépendence cha cha cha''. Che senso ha una rivoluzione se non la si fa cantando? Scritta da Grand Kalle e cantata da Vicky Longomba, con il prodigioso Nico Kasanda, alias docteur Nico, alla chitarra, questa canzone è diventata l’inno di emancipazione del continente nero. Alcuni dei padri fondatori della rumba congolese erano lì, pronti a immortalare quel momento storico. Un appuntamento da non perdere per nulla al mondo. 

Petit Pierre, Dechaud, Brazzos, Nico, Vicky, Roger, Kalle

Nel 1960 Grand Kalle e il suo gruppo, l’African Jazz, erano a Bruxelles, dove doveva svolgersi la famosa tavola rotonda sull’indipendenza del Congo belga. Il brano nacque da un’iprovvisazzione, dettata dall’entusiasmo per quella liberazione tanto attesa dai popoli africani. ''Indépendance cha cha cha'' racconta questo evento storico. […] Tutti questi partiti e questi politici di primo piano si erano uniti in un ''fronte comune'' per ottenere la liberazione della nazione congolese. Le prime parole esaltano quel momento storico: ''Abbiamo ottenuto l’indipendenza / Siamo finalmente liberi / Alla Tavola rotonda abbiamo vinto / Viva l’indipendenza''. Io sono nato sei anni dopo e ho sempre sentito ''Indépendance cha cha cha'' nella maggior parte dei bar congolesi di Trois-Cents, il nostro quartiere a Pointe-Noire. A noi sembrava solo una canzone ''vecchia'' per amanti della rumba, niente di più. 

Dr. Nico

La verità è che, come tanti giovani della mia età, all’epoca non capivo il senso di quelle parole, anche se mi capitava di accennare qualche passo di danza sentendo la magica chitarra di Dr Nico. Vedevo gli adulti tutti in ghingheri, gli uomini con i pantaloni a zampa di elefante, le donne con i pagne colorati. Era ancora l’epoca dei giradischi, del vinile, dei 78 giri, poi dei 45 giri, con due facciate, il ''latoA'' e il ''latoB''. Alla fine del lato A bisognava girare il disco per ascoltare l’altro lato. E quando la canzone finiva la folla nel bar urlava in coro: ''Bis! Bis! Bis!''. 


Mio padre aveva conservato dei ricordi di quei tempi felici. Anche lui aveva ballato la rumba al ritmo di ''Indépendence cha cha cha'' e venerava Grand Kalle. In sala da pranzo aveva un suo poster. Quando mi fermavo davanti a quell’immagine, mi avvicinavo sempre per guardarla meglio. Grand Kalle posa di profilo, con il mento appoggiato alla mano sinistra. Guarda davanti a sé, in lontananza, con il sorriso di chi è soddisfatto per la direzione che ha preso la storia. Molto tempo dopo mi sono chiesto se la spensieratezza di quel ritratto non riflettesse l’atteggiamento degli africani dell’epoca. Sapevano che l’indipendenza implica anche il confronto tra mondo tradizionale e mondo moderno? Si rendevano conto che quella liberazione segnava l’inizio di un ''avventura ambigua'' e che, in un certo senso non eravamo più così lontani dall’universo descritto da Ahmadou Kourouma nel capolavoro ''Soli delle indipendenze''? […] ''Indépendence cha cha cha'' di Grand Kalle celebrava soprattutto la partenza dei bianchi, il diritto degli africani di gestire da soli il proprio continente. I balli e la gioia non ci hanno fatto pensare che la disillusione sarebbe arrivata rapidamente, in meno di cinque anni. Con il tempo, questo brano è diventato il simbolo della nostra ingenuità. Le luci ingannatrici delle ''indipendenze sulla carta'' ci hanno spinto a credere che bastasse la partenza dei bianchi a rimettere il continente nero sulla sua vera strada. Alcuni paesi africani ormai sono in mano a monarchi saliti al potere con la forza e capaci di ''colonizzare meglio'' dei bianchi, perché sanno come far votare le ''bestie selvagge''. E quando alcuni di questi monarchi muoiono, i figli proseguono il lavoro dittatoriale del genitore. Per grande sfortuna delle popolazioni africane.



Patrice Lumumba



Independence Cha-Cha - The Story of Patrice Lumumba 1/3




IL DISCO

Congo, Rumba On The River: tracklist; ascolto;  dwl pt.1; dwl pt.2

Licenziato nel 2006 dalla Syllart (l’etichetta fondata nel 1981 dal super-produttore della musica africana moderna, Ibrahima Syllart), ''Congo - Rumba On The River'', è il primo capitolo della collana African Pearls, una serie di doppi cd costruiti con il criterio di raccontare le vicende musicali di un paese in un’epoca ben precisa. Con implicazioni storiche evidenti (1954-1967) ''Rumba On The River'', è consacrato alla seconda generazione (quella cruciale) della musica urbana congolese, che cambierà per sempre i gusti di tutto il continente palpitando all’unisono con la vita sociale e politica del paese. Storia che comincia quando Kinshasa si chiama ancora Leopoldville ma già fa da sfondo alla laboriosa rivalità tra due scuole e due fabbriche di talenti: gli African Jazz del capostipite John Kabalese (Grand Kalle, appunto) e gli OK Jazz dell’emergente e sempre più giganteggiante Franco. Una lotta che con l’eccezione del 30 Giugno 1960, giorno dell’indipendenza, procede senza esclusione di colpi (musicali). Il primo, troppo lumumbista per poter vivere una carriera serena con Mobutu, lascia soprattutto quel monumento danzante alla suprema illusione che è ''Indépendence cha cha cha'' (contenuta anche in questa antologia); il secondo, dotato di genio e ambizione, diventerà invece una delle figure più importanti in assoluto della storia della musica africana moderna. In mezzo il vivaio, cresciuto sotto la loro ''autorità'': Tabu LeySam MangwanaDr. NicoPapa NoelTino Baroza … e le orchestre African Fiesta, Festival MaquisardRock A MamboBantous de la Capitale… La musica: un florilegio di afro-rumba, elisir di conforto e socializzazione della vita notturna di Kinshasa e Brazzaville. E’ l’arte del sebene, miscela resa danzabilissima dagli arpeggi ipnotici e dalle improvvisazioni di chitarra.

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3 commenti:

  1. Post del genere mi fanno amare ancor di più il tuo Giardino Magnetico :)

    Grazie :)

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  2. Io ringrazio (veramente) di cuore.

    ''L'esotismo'' dovrebbe essere una categoria dello spirito - ovvero aprirsi all'altro senza alcun condizionamento - e invece si rivela quasi sempre l'abisso in cui da secoli l'occidente riversa fantasie colonialiste/imperialiste e geografiche che ancora condizionano (direttamente o indirettamente) i nostri gusti, anche musicali. Per questo l'arte che l'altro produce a sua immagine e somiglianza spesso ci annoia, suona male, non ci parla. In questo senso ho cercato di andare sempre controcorrente, capire, metabolizzare, amare dal più profondo del cuore anche quello che non mi appartiene per tradizione, fino a farlo diventare un po' mio.

    E pensare che c'è chi ride beffardo pensando che scrivere e divulgare queste (e mille altre) musiche sia solo una gran perdita di tempo e una sorta di fanatismo intellettuale (quando di intellettuale non c'è proprio un cazz')

    Potrai capire quindi anche perchè il mio grazie in questo caso vale doppio.
    a presto

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  3. Non sai quanto mi faccia piacere leggere queste parole, perchè in fin dei conti la penso anch'io allo stesso modo. Non è facile entrare in queste musiche, proprio perchè sono diverse. E il nostro orecchio occidentale, quasi 'addomesticato' solo a certi suoni e a certi ritmi noti, familiari, c'entra parecchio in tutto questo.

    Il brutto è che alcuni proprio non lo capiscono. Ho amici/colleghi che suonano, amano la musica, che hanno dunque una buona sensibilità musicale. Eppure anche con loro faccio fatica (tranne uno, miracolo!) a condividere la mia passione per una musica che non sia 'rock' in senso stretto; alcuni riconoscono di 'non essere ancora pronti', altri hanno quasi un atteggiamento sarcastico/supponente. Altri ancora confondono questa musica con le compilation di musica 'etnica' che trovi nel cestone del supermercato, assemblate alla cacchio e di qualità dubbia...

    E vabbè :(

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