giovedì 31 marzo 2011

Il N.G.M. presenta: ''Cumbias y Gaitas de Colombia''




TRACKLIST

01 - LEONOR GONZALEZ MINA - Navidad Negra 
02 - TOTÓ LA MOMPOSINA - La Cumbia Esta Herida 
da ''Evolucion: 20 Anos..'' (Yard High, 2003)
03 - AFROSOUND - Ponchito De Colores 
04 - ORQUESTA MELODIA - Tolu 
 05 - LOS WARAHUACO - El Pescador De Baru 
06 - GUILLERMO GONZALEZ Y SU ORQ. - Lupita 
da ''Cumbias Y Gaitas De C. 2'' (Vedisco, 1996)
07 - LA INTEGRACION - Yo Me Llamo Cumbia 
08 - ADOLFO ECHEVERRIA Y SU C. - Amaneciendo 
da ''Dinamitazos Tropicales ..'' (Discos F., 1999)
09 - LUCHO BERMÚDEZ Y .. - Colombia Tierra Querida 
da ''Bailables..'' (Yoyo Usa, 2006)
10 - LA SONORA DINAMITA - Las Velas Encendidas 
da ''Greates Cumbia ..'' (D.F., 1999)
11 - ORQUESTA MELODIA - La Tabaquera 
12 - PASTOR LOPEZ Y SU COMBO - La Cumbia 
13 - LITO BARRIENTOS Y SU O. - Cumbia En Do Menor 
da ''Colombia! Golden...'' (Soundway, 2010)
14 - LA SONORA CIENAGUERA - La Piojosa 
da -  ''Colombia! Golden..'' (Soundway Rec., 2010)
15 - MONTERIA SWING - La Samaria 
16 - LUCHO BERMÚDEZ Y SU O. SABANERA - Arroz Con Coco 
da ''Cartagena! ..'' (Soundway Rec., 2010)
17 - ORLANDO FORTICH Y SU ORQUESTA - Yolanda 
da ''Cartagena! ..'' (Soundway Rec., 2010)
18 - LA SONORA DEL CARIBE - Noche De Estrellas 
19 - LOS CORRALEROS - Cumbia Campesina 
20 - CLIMACO SARMIENTO - La Cigarra 
da ''Colombia Y Su Folclor Vol I'' (Tropicaliche, 2010)
21 - ARMANDO HERNANDEZ Y SU C. - La Zenaida 
da ''Musica Tropical ..'' (Discos Fuentes, 1993)


lunedì 28 marzo 2011

Il N.G.M. presenta ''Invocaciones - Ritmos Negrolatinos''



TRACKLIST

01 - THE CREOLE CHOIR OF CUBA - Se Lavi 
da ''Tande-la'' (Real World, 2010)
02 - PETRONA MARTINEZ - La Vida Vale La Pena 
da ''Bonito Que Canta'' (Suramusic, 2002)
03 - SON PALENQUE - El Sapo (Tungalala) 
da ''Palenque Palenque'' (Soundway, 2010)
04 - TOTO' LA MOMPOSINA - Prende la Vela 
da ''Gaitas Y Tambores'' (???????, 2002)
05 - GRUPO AFRO CUBA DE MATANZA - Caridad 
da ''Raices Africanas'' (Shanachie, 1998)
06 - BANDA LOS HIJOS DE LA NIÑA LUZ - Dejala Corre 
da ''Banda ..'' (Soundway, 2010)
07 - ABELARDO CARBONO - La Negra Kulende 
da ''Palenque Palenque'' (Soundway, 2010)
08 - TOTO LA MOMPOSINA - Pacanto 
da ''Evolucion: 20 Anos De T.L.M.'' (Yard High, 2003)
09 - PETRONA MARTINEZ - Arremachalo 
da ''Bonito Que Canta'' (Suramusic, 2002)
10 - AFREKETE - Egun!!!!!!!!!!
11 - LUGUA - Lugua Hama Lurudu 
12 - LINCOLN LEWIS - Wabouga 
13 - CARLOS SOTO- Mi Comadre Cocoliche 
14 - JUNI ARANDA - Dondo 
da ''Paranda'' (Teldec Classics/Naxos, 2000)
15 - CONJUNTO CLAVE Y GUAGUANCO - Que Viva Chango 
da ''Songs & Dances'' (Xenophile, 1994)
16 - GRUPO AFRO CUBA DE MATANZA - Pa'los Mayores 
da ''Raices Africanas'' (Shanachie, 1998)
17 - PETRONA MARTINEZ - Las Penas Alegres 
 da ''Las Penas Alegres'' (Baby, 2010)



La Regina del Bullerengue



Petrona Martinez è una delle migliori rappresentanti viventi del folklore afrocolombiano, in particolare del melting-pot culturale della regione di Bolívar nel caribe colombiano. E' considerata la regina del Bullerengue, un ritmo caraìbico (e una danza contadina) di antiche origini africane, che Petrona apprese giovanissima, immersa nel folklore africano della sponda atlantica, ascoltando la nonna e le zie intonare le melodie che accompagnavano le lunghe giornate di duro lavoro contadino, costante nella vita della stessa cantante, per lungo tempo chiamata anche ad occuparsi della madre inferma. Il bullerengue fonda le proprie radici nei canti africani dedicati alla fecondità. La tradizione vuole che il bullerengue colombiano abbia inizio a San Juan e San Pedro quando, dopo che fù preclusa la partecipazione alle feste estive di vedove, donne in cinte (e/o un po' troppo inclini a ''facili divertimenti''), queste decisero di riunirsi semi-clandestinamente nei cortili di amici o parenti dove, al ritmo di tamburi e batti-mani, una di loro improvvisava versi irriverenti o indovinelli piccanti e osceni. Poco a poco altre donne ''nutrivano'' coraggiosamente il gruppo, mentre il ñeque, una bibita alcolica estratta dalla canna da zucchero, ''intonava'' le laringi. Oltre che sull' improvvisazione il bullerengue si basa sull' interpretazione combinata dei concetti di seduzione e fecondità, con la cantante che si muove strofinando il basso ventre e provocando con il petto in un crescendo voluttuoso. Il bullerengue è esclusivo soprattutto della provincia marittima di Bolívar e Córdoba, ma rappresenta allo stesso tempo una straordinaria testimonianza della cultura di origine africana dell'intero Continente. Denominata ''la Regina del bullerengue'', Petrona Martínez è la più fedele testimone della tradizione di questi balli e canti afrocolombiani e, nonostante abbia già passato la settantina, la cantante continua a godere di una stupenda vitalità e si fa accompagnare da un gruppetto di energici percussionisti con i quali si esibisce in vere e proprie cavalcate ritmiche di cumbia, gaita, porro, puya ecc. 


Sono comunque passati più di due decenni dalle (prime) tardive registrazioni del 1984 (alle quali arrivò quarantacinquenne) ai primi riconoscimenti internazionali di ''Bonito que canta'' (Suramusic, 2002) che si guadagnò adirittura una nomination ai Grammy latini del 2003 come miglior album di musica folklorica [quì si può recuperare assieme ad altri lavori, e all'ultimissimo ''Las Penas Alegres'' (Baby) uscito sul finire del 2010] . A proposito, si racconta di come Petrona, persona estremamente modesta e molto lontana dalle dinamiche di mercato ricevette la notizia della nomination mentre si stava mangiando un piatto di riso che portò a termine con calma imperturbabile prima di riprendere il suo lavoro quotidiano, solo un poco stupita di quell'improvviso e incontenibile scoppio di allegria da parte delle persone che in quel momento le stavano attorno.


La musica di Petrona riesce ad essere cruda e calda allo stesso tempo. L'assenza di strumenti armonici viene colmata sia dall'imponenza della voce che dalla forza profusa dalle percussioni, e le tematiche del lavoro riflettono chiaramente i suoni della cultura e delle radici del suo popolo. Ogni ''baile cantao'' (''ballo cantato'') che va a comporre i brani della cantante colombiana  presenta un suo particolare universo poliritmico, con i tamburi che interagiscono con le maracas, le totumas (grossi frutti che ricordano vagamente le zucche) e, in qualche caso, con la gaita, un flauto di orignine preispanica dall'inconfondibile suono costruito con il cuore del cardón pelón (un cactus). I ritmi di maggior presenza, che assieme al bullerengue contribuiscono ad imporre l'anima africana di questa musica, sono la chalupa, la puya e il fandango.


Per quanto riguarda i testi, Petrona si riferisce soprattutto a situazioni quotidiane e alla sua gente: il duro lavoro dei campi, la semina, l'ambiente circostante, le feste e le celebrazioni rituali ecc, fino ad eventi che la riguardano personalmente. I motivi proposti sono ciclici e possiedono forti matrici ritmiche e percussive che, come è stato ricordato più volte, enfatizzano le componenti rituali di origine africana, grazie anche all'apporto di un coro come elemento di risposta ai versi proposti dalla cantante. Recentemente Petrona si è adoperata per appoggiare i diritti delle lavoratrici, ricordando le sue umili origini contadine e le mani di tante donne marcate da anni e anni dedicati alle coltivazioni. Camicetta bianca e gonna floreale, seduta su una sedia a dondolo, Petrona continua a cantare, come ha sempre fatto, con l'unica differenza che ora prefericse schiarirsi la voce con qualche buona zuppa fatta in casa limitando, per quanto possibile, il consumo di rum o ñeque.


Il Nuovo Giardino Magnetico presenta ''Rimas Caribeñas''




TRACKLIST

01 - [Field recording from la Habana, Cuba] 
''Que quieres que te diga hermano...''
02 - LAS ONDAS MARTELES - Rima Caribeña 
da ''Y Despues De Todo'' (Label Bleu, 2004)
03 - SKA CUBANO - Babalu 
da ''Ska Cubano'' (Casino Sounds, 2004)
04 - ORQUESTA ARAGON - Son al Son 
da ''La Charanga Eterna'' (Lusafrica, 1999)
05 - SIERRA MAESTRA - Felipe Blanco 
da ''Tibiri Tabara'' (World Circuit, 1997)
06 - PANCHO AMAT Y SU CABILDO - Juramento 
da ''Llego El Tresero'' (La Huella Sonora, 2007)
07 - RAMITO - Una Mujer En Mi Vida 
da ''Raices Borincana'' (Disco Hit, 1999)
08 - HERMANAS FERRIN - Quien Dice Que Yo 
da ''Mi Linda Guajira'' (EMI, 1999)
09 - JIMMY BOSCH - Pa' Mantener Tradicion 
da ''Salsa Dura'' (Ryko/Rhino, 1999)
10 - SONEROS DE VERDAD - Golondrina Guajira 
da ''A B. V., B. De La Habana'' (Termidor M., 2000)
11 - FAUSTINO ORAMAS  - Mi Son Retozón 
da ''El Tren De La Vida'' (Manza, 1998)
12 - PANCHO AMAT Y SU CABILDO - La Cocainómana 
da ''De S.Antonio A Maisí'' (Resistencia, 2000)
13 - LAS ONDAS MARTELES - A Mi Traviesa Pequeña 
da ''Y Despues De Todo'' (Label Bleu, 2004)
14 - SIERRA MAESTRA - Convergencia 
da ''Rumbero Soy'' (Riverboat, 2002)




martedì 22 marzo 2011

Rarefazioni organiche



Come altri moderni alchimisti del suono elettronico, anche il dj e produttore tedesco Sven Weisemann, ama attingere a piene mani da tutto ciò che lo ha preceduto per poi proiettare nel futuro quello che ha vissuto e, successivamente, rielaborato. Nell' ossatura delle sue produzioni coesistono, infatti, approci musicali differenti, contigui ma per niente antagonisti, che anzi si fondono con elasticità ed equilibrio. Il recente ''The Invisible Insurrection'' (Fauxpas Musik, 2011) [può essere recuperato quì], per il quale Weisemann ci cela dietro al moniker Desolate, ne è ulteriore conferma, e si colloca stilisticamente in una zona intermedia fra (classica) techno-ambient, e dubstep, con ritmiche ridotte all'osso e un mood profondamente crepuscolare. Tutto viene rallentato, tutto si gioca sulle atmosfere rarefatte di placidi episodi sorretti nel loro imperturbabile divenire da una cappa che avvolge e ipnotizza. Tuttavia l'estrema finezza degli arrangiamenti, onirici ma caldissimi, grazie anche ad estemporanei cenni di piano e l'uso di strumenti a corda, conferiscono al lavoro palpitazioni quasi organiche. Certo non mancano netti riferimenti al sound di questo o quell'altro (Burial su tutti), ma Weisemann è ragazzo raffinato e dimostra di saper plasmare i suoni con estrema delicatezza per un risultato francamente affascinante. Gran disco.


domenica 20 marzo 2011

Il Nuovo Giardino Magnetico presenta ''Sambatropic A Go-Go!''




TRACKLIST

01 - Velha Guarda Da Portela - Você Me Abandonou
da ''Tudo Azul'' (EMI, 1999)
02 - Jovelina Pérola Negra - O Dia Se Zangou 
03 - João Do Vale - Estrela Miúda 
da ''João Do Vale'' (CBS, 1981)
04 - Teresa Cristina & G.S. - Um Calo de Estimação 
da ''Vida Me Fez Assim'' (Deckdisc B., 2004)
05 - Maria Bethania & Gal Costa - Sonho Meu 
da ''Alibi'' (Philips, 1978)
06 - B. Powell-V. De Moraes - Formosa 
07 - Agepê - Ela Nao Gosta De Mim 
da ''Agepê'' (Continental, 1977)
08 - Neguinho Da Beija Flor - Aldeia De Okarimbé 
da ''A Voz da Massa'' (CBS, 1986)
09 - Chico Da Silva - É Preciso Muito Amor 
da ''Tudo Mudou'' (BMG, 1979)
10 - Jackson Do Pandeiro - Tum-Tum-Tum 
da ''Brasil Popular'' (Sony, 2006) Antol.
11 - Nando Cordel & Amelinha - É De Dar Água Na Boca 
da  ''É De Dar Água..'' (RCA Camden, 1986)
12 - Adoniran Barbosa & Elis Regina - Tiro Ao Alvaro 
da ''Adoniran Barbosa Ec'' (EMI/Odeon, 1980)
13 - Clara Nunes - Tristeza Pé no Chão 
da ''Clara Nunes'' (EMI/Odeon, 1973)
14 - Abel Ferreira - Saxofone Por Que Choras 
da ''Chorando Baixinho''  (EMI/Odeon, 1962)



Brazilian Pearls: Jovelina, la perla negra



Jovelina Farias Delford conosciuta col soprannome di Jovelina Pérola Negra (Jovelina la perla negra),  è uno degli artisti di riferimento (assieme a Clara Nunes, Beth Carvalho, Fundo de Quintal, Almir Guineto, Jorge Aragão e molti altri) del ''rinascimento'' Pagoda, un sottogenere del Samba con una forte impronta ritmica di origine africana (il termine, non a caso, indicava le commemorazioni e le feste fatte dagli schiavi che vivevano nelle senzalas, sorta di dormitori), nato a Salvador de Bahia sul finire degli anni Cinquanta più per evocare (appunto) situazioni di gruppo, feste amichevoli e gioiose in cui ci si riuniva condividendo cibo e bevande e cantando sui ritmi popolari, soprattutto samba (con l'accompagnamento di percussioni, cavaquinho, violão ecc.), che come genere musicale vero e proprio. E' dalle colline di Ramos, a Rio De Janeiro, che questa musica riprese a diffondersi soprattutto a partire dagli anni Ottanta, con la conseguente nascita di gruppi pagoda anche a San Paolo e in altre città del Brasile. Nata nel 1944 a Botafogo, un quartiere della zona sud di Rio de Janeiro, celebrata in virtù delle notevoli doti vocali e adorata da colleghi ben più celebri di lei (Maria Bethânia su tutti), Jovelina Pérola Negra passò ben 41 anni della sua vita 'sopravvivendo' come assistente domestica, prima di arrivare al successo nel 1985 in compagnia di Zeca Pagodinho, Mauro Diniz, Pedrinho da Flor e  Elaine Machado (che come Jovelina frequentavano le comunità ''pagoda'' e le scuole di samba di Rio) grazie all'album collettivo ''Raça Brasileira'' [quì] a partire dal quale ogni singolo artista coinvolto nel progetto fù chiamato ad una nuova prova solista. Jovelina non aspettava altro, e già nel 1986 la RGE licenziò il suo omonimo esordio [quì a disposizione], il lavoro che inaugurò una discografia purtroppo bruscamente interrottasi nel 1998 a causa di un infarto che portò alla prematura scomparsa della grande cantante brasiliana.




Jovelina Pérola Negra - Discografia
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• Raça Brasileira, 1985
• Jovelina, 1986
• Luz do Repente, 1987
• Sorriso Aberto, 1988
• Amigos Chegados, 1990
• Sangue Bom, 1991
• Pagodão da Jovelina, 1993
• Vou da Fé, 1993
• Samba Guerreiro, 1997
• As 20 Preferidas de Jovelina Pérola Negra, 1997

sabato 19 marzo 2011

Naufraghi dell'amore

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Quasi tutti, chi più chi meno, siamo stati naufraghi dell'amore. L'oceano che sommerge i nostri cuori rotti è una distesa d'acqua dal quale è quasi impossibile scappare. Ma per Mike Tolan, l'anima dei Talons', esiste anche la certezza che prima o poi un nuovo amore verrà a salvarci e ci condurrà con la sua barca fino alla spiaggia della speranza. Grazie alla collaborazione degli ottimi Trouble Books, il songwriter americano ci consegna ''Songs For Boats'' (Own, 2011) [recuperatelo quì], un delizioso lavoro di folk intimista, in cui la sua voce setosa scivola sussurrante tra il lap steel, gli arpeggi della chitarra acustica e gli scarni arrangiamenti che ricordano molto da vicino le migliori cose di Will Oldham e di Neil Halstead. Della serie piccoli-grandi dischi.
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Sorrisi s(MA)g(LI)anti










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Garibaldi, io me lo fumo

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Questo sigaro è dedicato a uno dei più straordinari personaggi della nostra storia: Giuseppe Garibaldi, il quale fu un grande estimatore di sigari Toscani, che preferiva tagliati a metà. Si narra che amava fumarli non solo in momenti di relax nell'intimità del focolare domestico, ma anche in occasioni pubbliche. Il Toscano® Garibaldi nacque dall'idea di un grande uomo di lettere, di teatro e di cinema: Mario Soldati, uno dei maggiori estimatori di sigari Toscano. Molti anni fa i fumatori potevano acquistare i sigari Toscano, su concessione dell'Amministrazione dei Monopoli di Stato, direttamente dalle Manifatture di Lucca o di Cava dei Tirreni, e Soldati era uno di questi. Egli notò che a volte i sigari provenienti dalle manifatture di Cava dei Tirreni presentavano un colore più chiaro ed un gusto meno forte e più dolce. Il motivo era che a Cava venivano impiegati tabacchi Kentucky coltivati sia in Toscana che in Campania e grazie alle diverse condizioni climatiche e pedologiche delle due aree, si ottenevano prodotti di gusto diversi. Soldati preferiva i sigari fabbricati con tabacco campano, propose quindi (e vide realizzata) la produzione di sigari fatti di solo tabacco campano, in alternativa ai sigari Toscano classici. Il sigaro Toscano® Garibaldi fu commercializzato per la prima volta nel 1982, anno del centenario della morte dell'Eroe dei due mondi e in suo onore così battezzato. Viene lavorato a macchina con cura e sapienza grazie all'ausilio di un'operatrice fasciaia che ha il compito di orientare le nervature in modo da renderle parallele all'asse del sigaro una volta formato (vedi seconda parte del video sotto). Il gusto del sigaro Toscano® Garibaldi è particolarmente intenso e ricco di un dolce e piacevole aroma che denota la provenienza del Kentucky utilizzato; sia per la fascia che per il ripieno viene impiegato Kentucky nazionale coltivato nella zona di Benevento che viene maturato e stagionato per circa 6 mesi e prodotto nella manifattura di Cava dei Tirreni .
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I sigari Garibaldi vengono venduti in un elegante astuccio da 5 sigari cellofanati interi (€ 4,70) o ammezzati (€ 3,30) sul quale è ritratto, ovviamente, l'Eroe dei due mondi. E' il sigaro migliore per chi si avvicina per la prima volta all' affascinante mondo del Toscano e, soprattutto, per chi voglia smettere con le classiche sigarette (per quanto mi riguarda penso che difficilmente tornerò indietro), adatto ad essere fumato in qualsiasi momento della giornata. Può essere accompagnato da un buon vino, ma è a suo agio anche con grappe bianche e giovani. Insomma, sarò banale, se proprio non potete smettere di fumare date una possibilità a questo prodotto, assolutamente il migliore in considerazione del rapporto qualità/prezzo. Maggiore informazione su tutti i Sigari Toscano con prezzi, caratteristiche e quant'altro, le potete trovare entrando in questo link.
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martedì 15 marzo 2011

Persino il sonno adesso mi dispiace ...

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''Persino il sonno adesso mi dispiace
     perché il sonno produce il mio risveglio''
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                                            Patrizia Cavalli
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lunedì 14 marzo 2011

Produttori di un altro livello

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No singnori, la classe non è acqua! E poi diciamolo subito: che non mi divertivo così ascoltando un lavoro di musica elettronica era da un bel po' di tempo. Il fatto è che ''Toomorrow'' (Ninja Tune) non è solo un disco mooooooooooooooooooolto divertente, ma è anche un concentrato di sublime arte dell' assemblaggio per uno dei nomi di punta dell' elettronica astratta d'oltremanica degli ultimi vent'anni, già noto ai cultori di questo tipo di suoni soprattutto per i lavori realizzati come Plug e Wagon Christ. In questo caso Luke Vibert, rispolvera proprio il suo moniker più noto e ci regala un (altro) numero d'alta scuola degno di un fuoriclasse come lui. Un lavoro che flirta con il proprio lato meno intransigente (e sperimentale) a favore di quello più ''bambinesco'' realizzando una raccolta di piccole fiabe sonore intrise di melodia e assemblate con gran gusto. Nella centrifuga entra un po' di tutto: beats hip-hop, breaks electro-funk, samples di exotica, jazz, soul, suggestioni hawaiiane, swing e chi più ne ha più ne metta. C'è poco da fare, ci sono produttori che viaggiano su un altro livello, in grado di muovere le emozioni attraverso i suoni. Vibert è uno di questi. Non caso si diceva all'inizio che la classe non è acqua. Se volete convincervi...
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Il ragazzo con un difetto di pronuncia e parecchie storie da raccontare



Nato a Coventry ed emigrato a Londra, Obaro Ejimiwe, in arte Gostpoet, ha fatto del suo DNA (sangue nigeriano e domenicano nelle vene) e dei suoi gusti eclettici, da Badly Drawn Boy a Fela Kuti passando per il grime (scena a cui apparteneva e che lo svezzò come MC), il conbustibile di una proposta che cerca la sua ragione d'essere a mezza via tra trip-hop (termine fuori moda? scusate!), loop elettronici e una spoken world ''educata'' alla Gill Scott Heron. E se è vero che il (più che) convinecente EP d'esordio dell'anno scorso aveva 'incendiato' la mia insana curiosità, facendo presagire gran belle cose, è altrettanto vero che ''Peanut Butter Blues and Melancholy Jam'' (Brownswood, 2011) [si può raggingere quì] ha superato di gran lunga le mie più rosee aspettative, ripagando con gli interessi (almeno) la mia fiducia di ascoltatore. Un lavoro decisamente bello, in cui ''il ragazzo con un difetto di pronuncia e parecchie storie da raccontare'' (come lo stesso Obaro si definisce) si conferma MC atipico che fa delle liriche meditabonde e dei flow distesi (quasi 'assonnati') il suo marchio di fabbrica. Ne riparliamo a fine anno?

Addis To Axum Free Mix

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Non è mai troppo tardi per Kar Kar



Che altro aggiungere su questo magnifico personaggio della musica maliana di cui non sia già stato detto in ognuno dei blog fratelli?  La risposta è: niente. Semplicemente mi premeva che anche il Giardino, nel suo piccolo, contribuisse a dar luce e merito a un monumento come Boubacar Traoré, soprattutto dopo aver avuto il piacere di estrarre dal pacco che da giorni attendevo un gioiello come ''Mali Denhou'' (Lusafrica, 2011) con il quale ''Kar Kar''  torna a deliziarci dopo sei anni di silenzio. Apparso e scomparso più volte alle orecchie dei suoi connazionali, Boubacar è stato 'lanciato' nel resto del mondo a margine dell'interesse nato intorno al blues ''originario'' dal suo vecchio amico Ali Farka Toure. Ma Traorè non è un griot, e ciò gli ha permesso di muoversi (quando l'ha fatto) più liberamente nei rapporti con la cultura extra-africana, sia nella scelta degli argomenti che nelle elaborazioni musicali. Per questo i suoi dischi, dolci e profondi, spesso introducono elementi non solo afro-americani, ma anche suggestioni melodiche e di arpeggio più vicine a certo folklore europeo, assimilato durante una lunga permanenza francese negli anni Settanta. Storie di villaggi, canzoni d'amore, inni alla solidarietà e soprattutto all'essenzialità. Un uomo solo con la sua chitarra. Se il blues è anche poetica sobria, il suo è un minimalismo esemplare. ''Mali Denhou'' non fa eccezzione ed è gioia di far musica, e di ascoltarla.


Soffi (dis)umani


Colin Stetson

A bocca aperta! Così mi hanno lasciato le 14 tracce (o meglio le 14 improvvisazioni) che compongono ''New History Warfare Vol.2 = Judges'' (Constellation, 2011) di Colin Stetson, eclettico musicista statunitense specializzato in strumenti a fiato (soprattutto cornetta e sassofono), al secondo magnifico lavoro in proprio dopo l'esordio per la Agoo di quattro anni fa. Ma sorprende anche leggere la sfilza di collaborazioni e il curriculum del ragazzo: dagli Archive Fire ai Godspeed You! Black Emperor (per i quali è stato anche tour member e session man), e ancora Tom Waits, Sinead O’Connor, David Byrne ecc.


E' bene specificare che però, a prescindere dall'indiscutibile valore dei gruppi e dei singoli artisti sopracitati, ovviamente con nessuno di questi Stetson avrebbe potuto godere della libertà espressiva che invece si respira in ''New History Warfare Vol.2'', un lavoro importante per la possibilità che ci dà di constatare le varietà di registro improvvisativo (dal minimalismo all'avant-jazz) raggiungibili attraverso l'uso dei fiati, oltre a una dimostrazione di come la sperimentazione possa arrivare a risultati (non dico estremamente ma ..) tutto sommato abbastanza ''accessibili'' (o almeno questo è il mio parere). Aggiungo solo che il lavoro è stato registrato in studio dal vivo e senza sovraincisioni, grazie all'apporto in sede di produzione di Shahzan Ismailly, ed è impreziosito in alcune traccie dagli interventi vocali di Laurie Anderson e di Shara Worden. Bello ed estremamente affascinante [può essere raggiunto qui o anche qui].


Dalla fine del mondo alla fine di un amore



Dalla fine del mondo alla fine di un amore. Questa la frase che a grandi linee sottende la poetica del texano Josh T. Pearson, autentico cowboy dell'apocalisse dalla barba chilometrica. Musicista errante e tormentato, l'immancabile sombrero e una chitarra malconcia, Josh vede nella musica lo strumento per dar voce alla fede. Nel 1996 (assieme ai compagni Josh Browning e Brian Smith) forma i Lift To Experience , con i quali cinque anni dopo riesce finalmente a registrare il magnifico "The Texas Jerusalem Crossroads" [può essere raggiunto quì] doppio album ambientato in una post-apocalisse spirituale nei deserti texani, improvvisamente trasformati in paradiso terrestre. Il disco, pubblicato dall'etichetta inglese Bella Union anche grazie alle attenzioni del solito John Peel, si converte in una sorta di oggetto di culto per molti appassionati, soprattutto in Europa. 


TJC è un lavoro dal suono epico, a tratti travolgente, con qualche progressione degna del miglior post-rock dell'epoca (i soliti Mogwai, Godspeed You! Black Emperor ecc) e stratificazioni shoegaze che si alternano a delicatissime ballate, ma soprattutto è opera caratterizzata da una sensibilitità e da una scrittura decisamente sopra le righe. La portata degli sforzi prettamente umani che Pearson convoglia nella produzione del disco lo inducono a sciogliere il gruppo proprio all'indomani dell'uscita del lavoro. Una profonda crisi esistenziale e religiosa porta l'uomo all' isolamento e a un periodo di sedute psichiatriche. Qualche anno più tardi, trasferitosi in Europa, riappare in alcuni concerti inglesi (uno dei quali immortalato nel 2005 nel bellissimo CD-R bootleg ''To Hull And Back'' con pezzi del tutto nuovi), e poco a poco il suo nome torna a circolare sempre più insistentemente, anche grazie a una serie crescente di concerti e collaborazioni. Ma la vera svolta è quando, sul finire de 2009, i Dirty Three lo chiamano a fare loro da supporto per un tour irlandese grazie al quale Josh si guadagna un grande successo di pubblico e di critica. E' la svolta. Josh capisce che è finalmente arrivato il momento per un nuovo lavoro. 


Registrato a Berlino nel Gennaio del 2010 in un paio di giorni, ''Last Of The Country Gentleman'' (Mute, 2011) [quì] è un disco di un'intesità sconvolgende. Il materiale è, al solito, doloroso, disperato, sofferto, ma questa volta l'apocalisse è privata, e riguarda un'amore finito, sublimato dalla musica in lunghe mediatazioni (sette tracce con quattro di queste che superano i sette minuti) dove un uomo solo, pochi accordi di chitarra e un flebile filo di voce, si cimenta in intime confessioni e agonizza alle prese con un parto emotivo più grande di lui (sembra che Josh abbia avuto bisogno di due settimane di completo riposo dopo il termine delle registrazioni) con le melodie che giocano a nascondersi, e faticano a rivelarsi se non dopo ripetuti ascolti. Personalmente avrei preferito un utilizzo del violino (Warren Harris) e del pianoforte (Dustin O'Halloran) più incisivo - quando spuntano dalle spoliazioni sono puro ossigeno - e non credo che per questo il disco avrebbe perso lo straordinario grado di emozionalità che lo contraddistingue e grazie al quale Josh è meritatamente riuscito a mettere daccordo quasi tutti in sede critica.


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Tra illustrazioni e mantelli dylaniani



Noto soprattutto come illustratore di prestigiose pubblicazioni (The New Yorker, The Wall Street Journal, American Illustration, ecc.) e di libri per bambini, in qualità di cantante e musicista Marcellus Hall legò il suo nome e si fece conoscere all'inizio degli anni Novanta come leader di bands quali Railroad Jerk e White Hassle. Come altri artisti della sua generazione anche Hall, dopo aver abbandonato certe 'irruenze' rock del passato ha deciso di indossare il mantello dylaniano e inbracciare le chitarre acustiche a favore di un sound sul solco della più tradizionale folk music a stelle e strisce. ''The First Line'' (Glacial Place, 2011) [quì] , il suo album d'esordio come solista, conferma questa rinnovata attitudine, e lo fa nel migliore dei modi; belle canzoni, suono classico, arrangiamenti spogli (chitarra, armonica e poco più) ed equilibrati, testi che parlano di relazioni umane e di perdite in tono sarcastico. Per non separare troppo i due ambiti professionali, il Cd si fa anche apprezzare per un libretto di 44 pagine grazie al quale è possibile ammirare l'artista anche come illustratore e non solo per la qualità (che certo non manca) delle sue canzoni.


Occultismo e beats esoterici



Demdike Stare è un progetto formato da due insaziabili collezionisti di vinili con sede a Manchester: Sean Canty e Miles Whittaker, produttori della vecchia scuola che due anni fa decisero di unire le loro forze per dar vita a questa interessantissima e misteriosa avventura sonora di occultismo e beats esoterici. La loro trilogia in vinile, con tre Eps editi nel 2009, è stata riproposta per intero in una edizione uscita quest'anno in triplo cd e intitolata ''Tryptych'' (Modern Love, 2011) [quì a disposizione], che aggiunge materiale inedito spalmato nei tre cd, completando la radiografia musicale del gruppo. Il concetto della loro proposta si basa sull'impiego di bassi e drones atti a creare atmosfere che non permettano alla luce di scappare, evocando spazi cupi e inquietanti, ma che allo stesso tempo sanno essere sensuali ed accomodanti riuscendo pure a sprigionare, poco a poco, una sorta di calore che non ti aspetti. I paesaggi sonori sono assemblati con passione e qualità, e i drone-dub-techno danno luogo a momenti riuscitissimi, come ad esempio ''Repository Of Ligh'', in cui i due dimostrano tutta la loro attenzione per il dettaglio, introducendo alcuni elementi proto-techno sulla linea del grande Manuel Göttsching, o anche nell'industrial-ambient di ''Rain And Shame'', per non parlare dell doppia maestosa faccia di ''Forest Of Evil''. La ritmica, invece, ricorda spesso quella delle vecchie pellicole dell'orrore con inquietanti elementi soppranaturali di provenienza orientale o africana (molto percussiva e/o tribale), come in ''Desert Ascetic'', un autentico pandemonio psichedelico, ma anche in alcuni pesaggi di ''Dusk'', ''Dawn'', ''Bardo Thodol'' e ''Hashshashin Chant'' (il cui video - vedi sotto - è stato costruito proprio con immagini tratte da pellicole horror). Al pari di artisti come Wolfgang Voight o Shackleton, Demdike Stare va segnalato come uno dei progetti più importanti di un certo tipo di elettronica contemporanea in cui si tende a far dialogare techno ed elementi naturali (sia esso attraverso i suoni dell'albiente, le ritmiche tribali o le due cose allo stesso tempo) con un'attitudine perfezionistica e personalissima, certo molto distante dalle piste da balllo, ma estremamente interessante quando si tratta di aprire nuovi sbocchi espressivi in questi ambiti musicali da una prospettiva tutta europea. Un'altro lavoro importante.

domenica 13 marzo 2011

Suites impazzite



Periodo d'oro questo per la Clean Feed con (almeno) un terzetto di dischi stupendi che faranno la gioia di tutti gli appassionati di avant jazz e impro jazz (tra l'altro tutti recuperabili grazie alla classe che contraddistingue le ottime scelte musicali dell'amico Borguez): ''Insomnia'' di Tim Berne''Minaret Minuets'' di Scott Fields & Matthias Schubert e lo straordinario ''The Coimbra Concert'' un doppio dal vivo dei Most Other People Do the Killin, di cui ora mi occuperò.




Passato con l'anno nuovo dalla Hot Cup, l'etichetta di Moppa Elliott (il bassista del gruppo), a quella di Lisbona (la Clen Fedd, appunto) i Most Other People Do The Killin hanno registrato i brani di questo disco nell'arco di due concerti (il 28 e il 29 maggio del 2010), nella città portoghese di Coimbra. Il repertorio del lavoro si basa prevalentemente su temi editi nelle (4) registrazioni precedenti del quartetto: uno da ognuno dei primi due dischi (l'omonimo ''Mostly Other People Do the Killing'' e ''This Is Our Moosic''), due dal terzo (''Shamokin!!!'') e quattro dall'ultimo lavoro in studio (''Forty Fort''), più uno inedito. Mettendo in relazione i brani in studio con quelli live ci si rende immediatamente conto di come i quattro riescano ad esprimere il loro enorme (massimo?) potenziale, proprio dal vivo. A brillare sono soprattutto le trombe di Peter Evans e i sassofoni di Jon Irabagon, ma anche gli altri due elementi (il citato Elliott al basso e Kevin Shea - già con i Talibam! - ai tamburi) si mostrano particolarmente ispirati e si fanno ''infuocare'' dalla dimensione live.

Jon Irabagon

Tutte le traccie del lavoro, che in qualche caso raggiungono e superano i trenta minuti, sprigionano un'energia e un'irruenza inaudita; si sà come iniziano, ma è inprobabile prevedere come possano terminare, visto che spesso all'interno delle suites, come in un sistema di scatole cinesi, ne spuntano di nuove, micro-composizioni dove ogni musicista ci mette del suo, vuoi attraverso citazioni 'classiche', vuoi per mezzo di improvvisazzioni istantanee e chi più ne ha più ne metta. Impossibile, infine, non farsi catturare dall' evidente citazione della foto di copertina che rimanda chiaramente a quella del famoso Koln Concert di Jarrett, strappando un sorriso che potrebbe estendersi a dismisura una volta completato l'ascolto. Probabilmente uno dei migliori dischi degli ultimi mesi in ambito jazzistico.


Vampirizzazzione Afro-Colombiana pt.2



Mi sono stancato di tessere le lodi della Soundway. Da quando il dj inglese Miles Cleret ha fondato l' etichetta ubicata a Richmond upon Thames (a sudovest di Londra) non ho fatto altro che spellarmi le mani grazie una serie di antologie retrospettive tutte di qualità non meno che eccellente. Dopo le prime uscite, dedicate ai suoni dell'afrobeat e dell' afro-funk ghanese e centroafricano degli anni Settanta, Cleret ebbe la brillante idea di puntare man mano anche a nuove latitudini (geografiche e musicali), inventandosi approdi alternativi senza perdere minimamente in qualità; da Panama! (la serie compilata da Roberto Gyemant che ha già raggiunto il terzo volume) a(lla) Colombia! di ''The Golden Age of Discos Fuentes 1960-1976'', eccezzionale retrospettiva dedicata a quasi due decenni della mitica azienda di musica latina fondata a Medellín da Antonio Fuentes (pensate un po') nel 1934. A proposito, con il passare degli anni l'enorme archivio della Discos Fuentes (che a un certo punto venne descritta come la Motown Colombiana) è stato oggetto di controversie di ogni tipo allo scopo di aggiudicarsi i diritti di questo o quell'artista.


E il fiuto è una dote che non manca di certo a Cleret, abilissimo (assieme ai suoi collaboratori ) nello scovare e contestualizzare chicche di ogni tipo, con particolare attenzione, soprattutto negli ultimi mesi, rispetto ad un'area geografica che da ''Colombia!'' in poi lo ha portato a dar forma a un progetto altrettanto stupefacente di Lucas Silva come ''Palenque! Palenque!: Champeta Criolla & Afro Roots In Colombia 1975-1991'', e più recentemente a licenziare altre due perle quasi contemporaneamente: ''Cartagena! Curro Fuentes & The Big Band Cumbia and Descarga Sound of Colombia 1962-1972'' e ''Aquí Los Bravos! The Best of Michi Sarmiento y su Combo Bravo 1967-77''; più un'altra annunciata che verrà dedicata al grande Lucho Bermúdez per il momento anticapata da questo Ep.


Mentre ''Aquì Los Bravos!'' è un omaggio al sassofonista Blas Sarmiento Marimón, figlio del famoso Climao Sarmiento e meglio conosciuto come Michi, che con dieci dischi all'attivo creò un nuovo suono tropicale, ''Cartagena!'' compilata ancora una volta da Roberto Gyemantsi con l'aiuto di Will ‘Quantic’ Holland e dello stesso Cleret, (come si evince dal titolo) è invece incentrata sui suoni negroidi e caraibici della città costiera colombiana e in particolare sull'incredibile big-band di José Maria ''Curro'' Fuentes, figlio (e quì il cerchio si chiude) gurda un po', del grande boss fondatore. Che altro aggiungere? Un florilegio di cumbia, porros, mapales, salsa e descargas di gran livello senza soluzione di continuità. Semplicemente spettacolare!