venerdì 15 ottobre 2010

Write About Love



Diciamolo subito: prima dell’uscita di ''Write About Love'' (Rough Trade, 2010) pensavo che la possibilità che i Belle And Sebastian facessero un brutto disco fosse pari a quella di un eventuale retrocessione dei Celtic nella serie B del campionato scozzese. Eppure ci poteva stare, visto che stiamo parlando di una band che pubblica dischi da quasi quindici anni, quindi un periodo di tempo sufficientemente lungo per potersi permettere anche più di un mezzo passo falso. Ma ormai mi ero illuso, illuso che nessun disco uscito dalla penna vivace di Murdoch & company avrebbe più potuto fare eccezzione, illuso che pur con qualche piccola caduta di tono, nella parziale discontinuità, qualsiasi nuovo parto della band scozzese mi/ci avrebbe comunque regalato un numero di perle pop (e magari qualche diamante) sufficiente per continuare a far brillare una produzione discografica tra le migliori nel panorama dell’indie-pop degli ultimi anni. E poi un titolo così poetico come ''Write About Love'', la bella immagine di copertina … tutto lasciava presagire alla solita nostalgia indeterminata che si respira ascoltando i dischi dei Belle & Sebastian, perfetta colonna sonora di un picnic nel parco tra le margherite, di un sogno amoroso in un aula universitaria o della pioggia attraverso il cristallo di un antico caffè, con quell’estetica del ricordo di un’adolescenza migliore, della nostalgia del pop d’altri tempi (Nick Drake, Simon & Garfunkel)... 


Dov’è finito quel mondo? Qualcuno riuscirà mai a convincermi che i Belle & Sebastian che io conoscevo, maestri nel creare piccole gemme pop graziose e delicate, capaci di scrivere storie stravaganti, buffe e a volte tristi, sono veramente questi? Che qualcosa in ''Write About Love'' non vada per il verso gisto lo si capisce sin dall’iniziale “I Did’nt See It Coming”,che perde la propria armonia di canzone classica per lasciare protagonismo a uno sconcertante tastiera anni Ottanta tra le irremovibili sentenze di Murdock: ''i soldi creano la ruota e il mondo gira''. Arrivati alla quarta traccia ci si illude (ancora, nonostante tutto) che il lavoro possa prendere un’altra piega, grazie a un classico immediato come ''I Want The World To Stop'', ma la speranza dura poco perchè l’imbarazzante, addomesticato duetto con Nora Jones di ''Little Lou, Ugly Jack, Prophet John'' riporta il livello di gradimento del sottoscritto sotto le suole delle scarpe. Il disco non si riprende più, encefalogramma piatto (con qualche piccolo sussulto: ''I Can See Your Future'' ) e se possibile a peggiorare la situazione contribuiscono arrangiamenti ridondanti e insostenibili. Non mi resta altro che aggrapparmi alle considerazioni fatte poc’anzi, quindi, quando parlavo di un presunto, perdonabilissimo passo falso, fiduciosi che torneremo presto ad indossare cardigan color pastello e magliette a righe, a trascorrere i nostri pomeriggi in cameretta sorseggiarndo cups of tea, sgranocchiando biscottini allo zenzero e ascoltando i dischi dei Belle & Sebastian.

3 commenti:

  1. Finalmente! Ero curiosa di vederti stroncare un disco :D

    E in effetti c'è poco da dire...è incredibile come già la prima canzone la dica LUNGA, e sia rivelatoria di ciò che viene dopo...

    ...che dire, i tempi di Tigermilk, The boy with the arab strap, ma anche degli ultimi album (comunque gradevoli e sempre dignitosi) sembrano lontani ere geologiche :(

    Piuttosto, a proposito di nuove uscite...ma che (solita) meraviglia è il nuovo di Robert Wyatt??? O_O

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  2. Di solito se i dischi non mi piacciono non ne parlo/scrivo, ma in questo caso, trattandosi di una delle mie pop-band preferite, non potevo astenermi da un sincero giudizio, anche perchè il tonfo (ahimè) mi sembra di quelli che fanno abbastanza rumore.

    Per quanto riguarda Wyatt, non c'è stato un disco dei suoi che regolarmente non sia finito nelle mie classifiche di fine anno, quindi potrai benissimo immaginare quanto sia impaziente di ascoltare anche ''For The Ghosts Within'' al quale dedicherò certamente un po' di tempo nei prossimi giorni prima di darti un giudizio definitivo (anche se poi il tempo insegna che con la musica i giudizi non sono mai completamente definitivi).

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  3. Anch'io seguo la regola del 'se lo schifo non ne parlo'. Ma se si tratta di un gruppo al quale si è affezionati sembra quasi doveroso parlarne, anche a malincuore, come hai fatto tu ;)

    Il disco di Robert in realtà non include nuovo materiale, ma alcuni suoi brani più una serie di standard jazz arrangiati e interpretati alla sua maniera...e che quindi vale proprio la pena sentire. Emozioni assicurate :)

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