martedì 2 ottobre 2012

Dubstep afrocaribeño


 
Che il debutto discografico (senza considerare singoli e Ep) di Mark Lawrence aka Mala, arrivi dopo più di dieci anni di attività è di per sè cosa alquanto curiosa; che oltre tutto questo debutto si programmi come una sorta di sfida esecutiva nella quale il debuttante si addentra nel folklore musicale di una cultura che non gli appartiene lo è ancor di più, soprattutto perchè ''Mala In Cuba'' (Brownswood, 2012) [yuhuu!] offre un'esperienza al momento unica: conoscere gli sviluppi del suono di Lawrence da una prospettiva molto diversa rispetto a quella inseguita negli anni in quel di Norwood (un sobborgo a sud di Londra) in compagnia dell'amico Dean ''Coki'' Harris sotto la sigla Digital Mystikz. Autori di uno dei pedigree più puri dell'underground londinese (soprattutto se pensiamo alla diffusa prostituzione di gran parte del dubstep odierno) i due hanno hanno avuto il merito di cementare le fondamenta della scena dubstep cavalcando per primi e con audacia l'onda di un rinnovato interesse per il nuovo modo di intendere il dub da una parte e e il grime dall'altra, e fondare la label Dmz. Ma torniamo al disco in questione; invitato a Cuba dal celebre Gille Peterson (boss della Brownswood e eccelso documentarista musicale), per prendere parte al progetto Havana Cultura Project, Mala entra in contatto con il ricco patrimonio musicale dell'isola caraibica e rientra a Londra con materiale a sufficenza per iniziare a concepire un progetto che fin dall'inizio si presenta più che altro come una sfida. Lo stesso musicista riconosce in un intervista di come fù la sola intuizione a spingerlo ad acettare di misurarsi con una realtà per lui completamente nuova, sia musicalmente (Mala non aveva mai lavorato con strumenti veri come materia prima) che culturalmente. Tuttavia gli aspetti che a priori si presentavano come un handicap si sono poi rivelati la base dell'esito di questo disco. Son cubano, rumba, salsa e molti altri stili propri dell'isola hanno una forte componente ritmica che, sapientemente quadrata con i bpm da dove muove il dubstep, funziona alla perfezione. Così le atmosfere generate dalla produzione di Mala con i Digital Mystikz vengono sostituite in questo caso da un continuo florilegio di congas, bonghi e timbales. Prendasi ad esempio ''Cuba Electronic'' (video sotto), possibilmente una delle tracce più equilibrate in quanto ad essenza di banger dubstep e tempesta di puro ritmo afrocaribeño, come anche ''The Tunnel'' o ''Changuito'' che oltretutto esemplificano la capacità del produttore di lavorare su materiali strumentali esclusivamente registrati per l'occasione come il piano di Roberto Fonseca o la collaborazione con il leggendario percussionista José Luis ''Changuito'' Quintana, che oltretutto presta il nome alla traccia. Il fatto che il materiale registrato a Cuba fosse finito e inamovibile avrebbe potuto limitare le vie esplorative di Mala, che invece ha giocato bene le sue carte incastrando con naturalezza stili e strutture: dal piano bass in slow motion di ''Mulata'' alle ritmiche tribali in odor di santeria di ''Ghost'' e (appunto) ''Tribal'' passando per le vocalità di ''Como Como'' e ''Noches Sueños'' (con Danay Suárez). Tra passaggi di basso profondo (il dub giamaicano e Kingston come vincolo principale tra l'Havana e Londra) e linee di piano, il disco scorre con totale eloquenza. Certo il suono di Male non è più austeramente dubstep, ma continua a suonare in tutto il suo profondo misticismo e soprattutto nel rispetto di entrambe le componenti musicali che valorizza reciprocamente. Un'esordio coraggioso e ricco di spunti davvero interessanti che merità di essere ascoltato con particolare attenzione.


3 commenti:

  1. Risposte
    1. Voglio dichiarare pubblicamente il mio amore incondizionato per il tuo blog. E poi, lasciamelo dire, mi fà in pazzire quel tuo piglio ironico... Avanti così amico, e complimenti.

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