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Lo stregone del reggae, il grande vecchio della musica giamaicana
continua a sorprendere. Oggi come ieri, mescola, in parti uguali, follia
e genialità. Dopo la jam con David Gilmour e la discreta collaborazione con gli Orb di ''The Orbserver In The Star House'', il più geniale e squilibrato fabbricatore di reggae è tornato a farsi vivo con un nuovo lavoro, questa volta diviso con il collettivo di produttori francesi denominato Easy Riddim Maker (ovvero Olivier Gangloff aka Piment/Electric Rabbit e Romain Ferrey aka EasyMode): 10 brani da ballare a cavalcioni sulla linea sottile che divide il genio dalla follia. E' lo standard quando c'è di mezzo Lee ''Scratch'' Perry. Il disco non fà venire giù i muri (beh, la copertina, quella sì!), ma non si può non rimanere colpiti dalle cadenze melodiche in pure stile Perry di ''Humanicity'' (ERM, 2012), brillanti e coinvolgenti come poche altre produzioni odierne. L'uomo improvvisa dei versi. Recita dei blues che seguono un ritmo in levare. A
volte sembra perdersi, allontanarsi troppo, ma alla fine riesce sempre a
ritrovare il sentiero. Un gioco duro condotto ora con sarcasmo, ora con dolcezza, quà e là con un po' di
''cattiveria'', in cui si sovrappongono il suono digital-reggae/dub, il sourrounding toasting un po' cazzone tipico di Perry e un flusso di parole
libero (così libero da sucitare qualche polemica, come in ''4th Dimension'': ''Il
reggae non viene da Trenchtown, Bob Marley ha mentito e per questo
motivo è morto..''). Ma si può credere ciecamente ad un visionario che sembra un poeta della beat generation, ad un Sun Ra nato per caso in Giamaica che ha cominciato a veder Ufo dappertutto e a innondare i muri con strani esoterici graffiti? Lascio a voi la risposta.
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Raccontare la storia di Lee Perry equivale a raccontare la storia della musica giamaicana dagli anni Sessanta in poi. Nato ad Hannover (Giamaica) il 28 marzo 1936, Rainford Hugh Perry attraversa tutte le epoche musicali dell'isola. Dagli anni presso lo studio One di ''Coxsone'' Dodd (un altro dei mentori della discografia giamaicana) ai ritmi cuciti per Prince Buster e Joe Gibbs col quale incide ''Am The Upsetter'', una delle sue prime grandi hits (duro atto d'accusa allo stesso Dodd nonchè canzone destinata a donargli l'altro pseudonimo con cui sarà da quì in poi noto), al sodalizio con l'astro nascente Robert Nesta Marley (risalgono a questo periodo capolavori come ''Soul Rebel'' e ''Soul Revolution'') che poi, complici le scarse vendite, gli ruberà la band, sorretta dalle fondamenta ritmiche dei fratelli Barrett, prima del definitivo passaggio dei Wailers alla Island. Nel 1973, Perry, dopo aver a lungo frequentato lo Studio di un'altro geniale ingeniere del suono, King Tubby, dà vita a quello che viene unanimemente considerato il più importante dub album della storia, ''Blackboard Jungle Dub'' (Upsetter, 1973), la summa delle più sfrenate evoluzioni soniche giamaicane. Nel frattempo, in un capanno nel giardino di casa,
al 5 di Cardiff Crescent a Washington Gardens, un sobborgo di Kingston,
con mezzi tecnici minimi (un quattro piste a bobine, un mixer, un
equalizzatore e qualche distorsione), perfeziona suoni che cambieranno per sempre la storia del reggae e ancora oggi esercitano un'enorme
influenza nei più svariati ambiti musicali. Tante ne ha fatte e pensate nella meditabonda indipendenza del suo Black Ark, il mitico studio di registrazione che lo stesso produttore arrivò a definire come ''un' astronave spaziale, qualcosa in possesso di una vibrazione sacra'', a tal punto che un giorno, persuaso che il demonio si fosse impossessato di quel luogo, ricorse al fuoco purificatore per debellarne lo spirito distruggendone le strutture e disperdendo parte dei suoi tesori musicali.
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Quello stesso studio che era stato il centro di produzione e smistamento di una moltitudine di ritmi reggae e rispettive
dub: lì suonavano gli Upsetters, la band residente nello studio e una delle più influenti dell'intera storia della musica giamaicana; di lì sono passati Max Romeo, Junior Murvin, The Heptones, The
Meditations, The Congos, Mikey Dread, Errol Walker, Keith Rowe, George
Faith e numerosissimi altri; lì sono stati realizzati classici incredibili che non starò quì a
citare. E' proprio l'incompresibile rifiuto da parte della Island di pubblicare uno dei capolavori prodotti tra quelle pareti nel 1977, ''Heart Of The Congos'' dei Congos (ne parlai quì), a fare da detonatore a una crisi esistenziale da tempo latente. Superlavoro e qualche vizzietto (non solo canne, ma anche alcool e cocaina) e la separazione dalla (prima?) moglie, trasformarono in un fatale attimo la sana follia del nostro in pazzia vera. Così una mattina di fine 1979, Perry incendia la sua sala d'incisione, la guarda bruciare e poi parte per l'Europa. Per sua stessa ammissione impiegherà otto anni a rimettere assieme una vita andata a pezzi e per tornare ai suoi livelli, anche grazie all'aiuto del discepolo Adrian Sherwood e del giro On-U Sound. Di lì in avanti la sua carriera continuerà tra alti (e tra gli alti anche qualche capolavoro) e bassi fino alle recentissime produzioni. Certo il suono non è più quello innovativo, geniale e oltremodo suggestivo, tutto costruito sui ''trucchi'' dello studio e l'affiatamento e lo spirito dei musicisti degli anni Settanta, ma ogni nuovo disco del mastro più influente e sbalestrato della musica giamaicana regala sempre qualche sorpresa e a dispetto di chi lo considera obsoleto, moribondo, démodé la sua musica continua ad essere più brillante e convincente/coinvolgente di tanti altri idiomi futuristi solo a parole e look. E poi, scusate, ma la sua emissione nello spazio potrebbe contribuire a risolvere l'attualissimo problema della comunicazione umana con altre galassie. Si può non voler bene a uno così?