Saperlo prima; avessi fatto una mia donazione (piccola o grande che fosse) a quest’ora il nome del sottoscritto comparirebbe tra i crediti finali di ''Harlem Street Singer'' il primo film/documentario (che in America dovrebbe uscire proprio in questi giorni bollenti) dedicato ''to the little-known story of'' Reverend Gary Davis, conosciuto anche come ''Blind'' Gary Davis (30 Aprile 1896 - 5 Maggio 1972), uno dei veri Giganti del blues acustico, ancora troppo poco noto rispetto all’importaza ricoperta e a quelli che sarebbero i suoi meriti effettivi. Davis, che iniziò a suonare la chitarra prestissimo (pare a 6 anni), trascorse molto tempo esibendosi e cantando (regtime, blues e gospel) per strada, ma passarono parecchi anni prima che lo si possa vedere entrare in uno studio di registrazione. Sviluppò un particolarissimo stile finger-picking prodotto unicamente da pollice e indice (corde pizzicate e arpeggiate, suono molto brillante, andamento lento e dolce, atmosfera pacifica e gioiosa) e interpretò soprattutto musica che va dal regtime alle melodie blues, passando per quelle tradizionali e originali delle armonie a quattro voci. A metà degli anni Venti dalla natale Lauren, in South Carolina, si trasferì a Durham, in Carolina del Nord, uno dei centri nevralgici della cultura afroamericana di quel periodo; lì Davis collaborò con molti degli artisti della scena musicale del cosiddetto Piedmont blues, tra cui Blind Boy Fuller e Bull City Red. Era un uomo profondamente religioso (il suo blues spesso sconfina nei puri spiritual e nel gospel), e infatti a trentasette anni, dopo essere diventato cieco, si fece prete e successivamente fù nominato ministro battista. Negli anni Quaranta anche la scena blues di Durhan iniziò a decadere e quindi Davis decise di abbandonare la sua Carolina per trasferirsi a New York, dove si guadagnerà da vivere dando lezioni di chitarra, ma continuando, allo stesso tempo, a suonare e predicare, soprattutto nelle strade di Harlem. Il suo stile caratteristico e l'innato talento come chitarrista influenzarono moltissimi artisti posteriori, da Dylan a Jorma Kaukonen (solo per fare qualche nome), ma soprattutto tutti i suoi alunni degli anni newyorkesi, tra cui Stefan Grossman, Roy Book Binder, Ernie Hawkins e Woody Mann (che appare nella crew di produzione di Harlem Street Finger). Come professore sembra che il Reverendo fosse una persona estremamente paziente e comprensiva a cui premeva assicurarsi che gli alunni imparassero e si adattassero alla sua forma unica e peculiare di suonare la chitarra. Il folk revival nelle decadi dei Cinquanta/Sessanta rilanciò la carriera musicale di Davis, che toccò il suo apice di popolarità in un'esibizione al Newport Folk Festival e grazie alla registrazione della canzone "Samson & Delilah" interpretata da Peter Paul & Mary; questa canzone, conosciuta anche come "If I Had My Way" era in realtà un tema di Blind Willie Johnson, ma fu in qualche modo ''popolarizzata'' dallo stesso Davis. Ed è proprio questo brano a dare il titolo a uno dei due dischi che il Giardino vi propone:
''If I Had Way: Early Home Recordings'' (Smithsonian Folkways, 2003) [qui], con registrazioni realizzate nel 1954 dal musicologo John Cohen nella casa del musicista che (fino a quando uscì il cd sette anni fa) erano rimaste praticamente inedite, e tra le quali spuntano anche un paio di gemme come ''There’s Destruction In This Land'' e ''If The Lord Be For You'' con Annie Davis (la moglie di Gary) alla voce; l'altro è invece il bellissimo ''Harlem Street Singer'' (Prestige Bluesville, 1961) [qui] che ha lo stesso titolo del documentario a cui accennavo a inizio post.
Registrato in tre sole ore dallo stimato ingegnere del suono jazz Rudy Van Gelder (che legherà il suo nome in particolare a quello della Blue Note), il disco alterna i versi di un sessantaquattrenne Davis a uno stile finger-picking fatto di interludi chitarristici, tra temi meno noti e standards gospel-blues che sono meravigliosa espressione della fede dell’uomo, con brani come "I Belong to the Band" o "Lord, I Feel Just like Goin' On", ma anche ''Death Don't Have No Mercy'' (video sotto), che rappresentano e riassumono alla perfezione l’etica del lavoro e della musica di un Reverendo che sarebbe riuscito a trascinare in chiesa anche il sottoscritto.
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