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Gran gruppo i Blonde Redhead !!! Da qualche settimana sono adirittura entrati nell'olimpo dei miei preferiti di sempre, soprattutto in virtù di perle come ''Melody Of Certain Damaged Lemons'' (2000)'', ''Misery Is A Butterfly'' (2004) e ''23'' (2007), i loro ultimi tre lavori in ordine di tempo, anche se stiamo parlando di una formazione che esiste da più di quindici anni . Ricordo benissimo, nel 1993, quando ebbi l'occasione di ascoltarli per la prima volta con il loro omonimo debutto discografico, figlioccio dei suoni della Gioventù Sonica, perchè mi aveva incuriosito l'immagine di un gruppo composto da due gemelli italiani e due ragazze giapponesi (dopo quell'esordio sono rimasti ufficialmente in tre) nel contesto dell'indie-music newyorkese.
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Da qualche settimana si diceva.... Il fatto è che un giorno di febbraio, accingendomi a sploverare (in senso fisico) la mia collezzione di dischi, accidentalmente feci cadere uno dei tanti cd accatastati che stava in cima a una delle pile in camera mia, mandandone in frantumi la custidia plastificata che aprendosi aveva proiettato per inerzia il cd a mangiar polvere a qualche metro di distanza. Recuperato il malconcio, e soffiato un bel po' sopra al dischetto, constatai trattarsi proprio dell'ultimo Blonde Redhead: ''23''. Il gesto fu automatico ed istintivo e di li a pochi secondi stavo inserendo quello stesso cd nel cassettino dello stereo. A volte si sà, il piacere di una folgorazione che non è di ieri può essere di oggi, e una riscoperta può diventare una scoperta doppia o forse qualcosa in più. Ed è esattamente quello che al sottoscritto è successo con i Blonde Redhead. Chissà, forse dovrei iniziare a riascoltare tutti i dischi che giacciono tranquilli e polverosi tra gli scaffali !?!?!
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BLONDE REDHEAD: LA STORIA, I DISCHI
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Dalla no-wave a una delle forme di pop più eccitanti e intelligenti attualmente in circolazione nell'arco di una quindicina d'anni. Una storia, la loro, che a pensarci non poteva avere origine che nella città multietnica per eccellenza, New York. E' qui, e più precisamente a Brooklyn, che Kazu Makino (voce, chitarra) e Maki Takahashi (basso), giapponesi, conoscono i gemelli di origine italiana Amedeo Pace (voce, chitarra) e Simone Pace (batteria e tastiere) inizialmente emigrati in Canada con i loro genitori all'età di tredici anni per poi approdare successivamente e definitivamente nella grande mela. Un legame musicale e umano che, non a caso, ha le sue basi proprio quì, e in particolare nell'effimero ma seminale movimento no-wave, cristalizzato dalla raccolta No New York (1978); basti dire che il nome scelto dalla formazione, Blonde Redhead, è il titolo di un brano dei DNA di Arto Lindsay, tra i nomi di punta della suddetta scena. Pare di leggere la biografia di uno dei tanti gruppetti newyorkesi venuti alla ribalta negli ultimi mesi e che ricicla quei vecchi suoni. Solo che qui ci troviamo non nel 2009 e nemmeno nel 2003, ma nel 1993, e l'attenzione della stampa è rivolta altrove. Quindi, i primi passi del quartetto si svolgono prevalentemente nell'ombra. C'è però chi se ne accorge, ed è Steve Shelley, batterista dei Sonic Youth, che non ci pensa due volte a metterli sotto contratto per la sua etichetta, la Smell Like Records. Del resto, la Gioventù Sonica era indubbiamente un'altra delle influenze fondamentali dei nostri, da un punto di vista tanto attitudinale quanto, soprattutto, musicale.
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E infatti il suono di Blonde Redhead (1995), prodotto dallo stesso Shelley, risente in una qualche misura dell'influenza della band di Thurston Moore e soci, specie per quanto concerne certe parti vocali e alcuni intrecci chitarristici sull'orlo della dissonanza. Tutti elementi, combinati alle inevitabili ingenuità tipiche di un opera prima, che rendono il disco non esattamente facile da assimilare, ma non privo di interesse, visto la combinazione fra elementi rock, sperimentazione e rumorismo puro (le urla acutissime di Kazu), ma che comunque offre squarci di grande bellezza. Gli stessi che ritroviamo ancora meglio in La mia vita violenta (1996), il cui titolo è naturalmente un omaggio a Pasolini), primo lavoro della definitiva formazione a tre, Pace-Makino-Pace.
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Ancora sfuggente nella forma sebbene non altrettanto spigoloso, a tratti non del tutto a fuoco, ma pieno di invenzioni, squarci melodici (vocali ma anche strumentali, grazie alla presenza discreta delle tastiere e, in Harmony, di un sitar) e con cazoni di ottimo livello come I Still Get Rocks Off che si può considerare come l'apice di questa prima parte della carriera della formazione. I tempi sono maturi per un salto di qualità che puntualmente si verifica in coincidenza con il passaggio dalla Smells Like Records alla ben più visibile Touch & Go di Steve Albini (quella dei Nirvana di ''In Utero'', di Pj Harvey, dei nostri Uzeda e di molti altri mostri sacri dell' indie rock e del post-rock).
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Primo frutto della nuova collaborazione, Fake Can Be Just As Good (1997), che all'apparenza sembra sacrificare almeno parte dell'obliqua genialità dei suoi predecessori in favore di un suono di insieme più compatto, anche se, a un ascolto più attento rivela la misma urgenza del passato e la differenza sta solo nella veste che la ricopre. In questo disco vale la pena segnalare un nuovo omaggio a Pasolini (Pier Paolo), l'intreccio fra melodia e rumore di Symphony Of Treble e la trascinante strumentale Futurism Vs. Passéism. Insomma il botto è nell'aria e non si fa attendere.
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Co-prodotto da Guy Picciotto dei Fugazi, In An Expression Of The Inexpressible (1998) porta finalmente a compimento ciò che fino a quel momento la discografia del trio aveva soltanto suggerito. Sacrificato abbastanza l'assalto sonoro, ecco venire alla luce l'originalità della scrittura e della ricerca melodica. Mai prima d'ora, infatti, il gioco di alternanze e incontri fra la voce di Amedeo e quella, particolare, della sensualissima Kazu aveva dato risultati così convincenti. Sarà poi la volta di un piccolo capolavoro come Melody Of Certain Damaged Lemons (2000), all'epoca quasi universalmente riconosciuto da molti giornalisti musicali come uno dei dischi migliori degli ultimi anni.
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Inizialmente potrebbe sembrare un lavoro di rottura rispetto al passato: quasi del tutto abbandonata l'agressività (unica eccezzione la scheggia a bassa fedeltà Mother) ora gli arrangiamenti sono più ricercati e avvolgenti, ma colpiscono in profondità. Se, dunque, da Blonde Redhead in poi avevamo parlato di dischi rock, ora ci troviamo in un ambito decisamente più pop, ma della migliore fattura. ''In Particular'', ''Hated Beacause Of Great Qualities'', ''This Is Not'' e ''For The Damaged'' sono solo alcuni dei momenti memorabili di un disco che può vantare anche la presenza del pianoforte di Tobias Nathaniel dei Black Heat Procession (un favore che Kazo ricambierà prestando la sua voce a On Ships Of God, contenuta in Three, disco di questi ultimi uscito lo stesso anno).
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Proprio il suo contributo in For The Damaged (che potete ascoltare tra i brani del juke-box qui sotto) ha fatto discutere i puristi, in quanto sarebbe ripreso pari pari da una partitura di Shuman, ma tale è il suo livello di ''integrazione'' all'interno della struttura del brano da far propendere per un omaggio più che per un plagio. Molti brani del gruppo sono pieni di radici colte (Simone Pace: ''Da piccolo ho studiato la classica, a casa si ascoltavano Beethoven, Shumann e Albinoni. Ho provato a prendere seriamente lezioni di violoncello, per qualche anno. Quell'esperienza si sente nel nostro sound...'').
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Un discorso quello intrapreso con Melody... che prosegue con Mélodie Citronique (2000), dischetto che fin dal titolo si pone in diretta continuità con l'album, finendo per risultarne un importante complemento. Al suo interno oltre a un remix di For The Damaged a cura dei Third Eye Foundation di Matt Eliott, trovano posto versioni in italiano e francese di brani già noti: Slogan di Serge Gainsboug e Chi è e non è (incursione nella lingua di Dante a dire il vero usata in maniera tutt'altro che impeccabile) di Lucio Battisti, nome che non a caso i due gemelli Pace hanno spesso citato nelle interviste tra le loro fonti di ispirazione. Quattro anni di pausa, complice un brutto incidente occorso a Kazu, caduta da cavallo, ed ecco il nuovo contratto con la 4AD, per la quale etichetta usciranno le ultime due perle: Misery Is A Butterfly (2004) e 23 (2007).
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Si tratta di due dischi dove al loro interno le influenze sono ancora più varie, così come la strumentazione, tanto che non stupisce di trovare orchestrazioni dal sapore orientale, echi del Bowie periodo berlinese (ascoltate per esempio ''Spring and by Summer Fall'' - contenuta in ''23'' - sotto tra ibrani del juke-box), dosi abbondanti di archi, tastiere e pianoforti, la cui presenza contribuisce a donare al tutto ancora maggiore profondità.
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Le canzoni hanno una grazia inusuale, sono venate di decadenza, di romanticismo. I dischi alternano la voce da gatta malinconica di Kazu a quella di Amedeo regalando brani che partono da determinate tinte espressive per poi aprirsi in un caleidoscopio di cromature musicali che combinano l'energia dell' indie-rock con la melodia assassina del pop d'autore. L'indole evoluzionista dei Blonde Redhead, mai inclini a cercare conferme, li porta a rimettersi sempre in gioco, a rinnovare il proprio linguaggio, già abbastanza peculiare, con rischiose soluzioni di scrittura, suono e arrangiamento. (''Siamo dei perfezionisti. Trascorriamo mesi e anni in studio a lavorare sulle canzoni, senza formule prefissate. Siamo un collettivo democratico. Incidiamo cassette di provini, ognuno li esamina, poi ci riuniamo per sintetizzare tutto. Ogni album ha rappresentato un'evoluzione naturale del precedente. Ora i nostri dischi sono più ricchi strumentalmente, più curati nei dettagli: stiamo attenti alla struttura delle canzoni, al rapporto con l'elettronica'') Confrontando gli ultimi due lavori con l'esordio di molti anni prima si stenterà a riconoscerne la medesima band, ma è nelle tappe intermedie, nel passo che va individuata la cifra artistica del trio newyorkese. Una delle più alte del nostro tempo. Gran gruppo si diceva all'inizio. Non certo a caso.
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