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''Viva Zapaterolanda'', gridano i 150mila italiani che vivono in Spagna (nel 2004 erano solo 55mila). Il loro entusiasmo alimenta i sogni di molti altri italiani - giovani e meno giovani, bambini e donne, omosessuali e latin lover - che sognano di andare in esilio nella nuova terra promessa, il paese in cui la loro nazionale ha vinto i mondiali del 1982. Il complesso edipico degli italiani nei confronti della Spagna risale quasi interamente, credo, a quell' abbraccio fraterno tra il re Juan Carlos e Sandro Pertini, mentre Tardelli esultava in campo. Da allora sono passati più di ventisei anni, e la vecchia simpatia esercitata dai cugini poveri del sud si è trasformata in un fascino sempre più irresistibile, dovuto soprattutto a un idea, forse in parte vera e che ormai è quasi un luogo comune: la Spagna funziona, l'Italia no. Questo almeno è quello che dicono i miei amici italiani. Parlano della Spagna con ammirazione, senza più un briciolo di paternalismo. C'è chi ne invidia l'efficenza, la serietà, i trasporti pubblici, chi loda la modernità, la politica di espansione dei diritti, il peso delle donne nel mondo del lavoro e i costumi liberali (gli spinelli, le notti che non finisono mai, gli aperitivi...). Il mito spagnolo è talmente trasversale che, come mi racconta Roberto Saviano, ha contagiato anche i boss della camorra. ''Laggiù si sta bene, Robbè, vattene in Spagna'', gli dicevano quando viveva ancora tra di loro. ''E' territorio nostro, è casa nostra".
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Miguel Mora è il corrispondente dall' italia del quotidiano El País. I suoi articoli sono sempre molto interessanti e pungenti. Per leggerli entrate qui.
MADRID E' IN CRISI MA IL MITO NO
di Miguel Mora
Studenti Erasmus, camorristi, dirigenti d'azienda: sono 150mila gli italiani che hanno scelto di vivere in Spagna. Convinti che rispetto all'Italia tutto funzioni meglio.
''Viva Zapaterolanda'', gridano i 150mila italiani che vivono in Spagna (nel 2004 erano solo 55mila). Il loro entusiasmo alimenta i sogni di molti altri italiani - giovani e meno giovani, bambini e donne, omosessuali e latin lover - che sognano di andare in esilio nella nuova terra promessa, il paese in cui la loro nazionale ha vinto i mondiali del 1982. Il complesso edipico degli italiani nei confronti della Spagna risale quasi interamente, credo, a quell' abbraccio fraterno tra il re Juan Carlos e Sandro Pertini, mentre Tardelli esultava in campo. Da allora sono passati più di ventisei anni, e la vecchia simpatia esercitata dai cugini poveri del sud si è trasformata in un fascino sempre più irresistibile, dovuto soprattutto a un idea, forse in parte vera e che ormai è quasi un luogo comune: la Spagna funziona, l'Italia no. Questo almeno è quello che dicono i miei amici italiani. Parlano della Spagna con ammirazione, senza più un briciolo di paternalismo. C'è chi ne invidia l'efficenza, la serietà, i trasporti pubblici, chi loda la modernità, la politica di espansione dei diritti, il peso delle donne nel mondo del lavoro e i costumi liberali (gli spinelli, le notti che non finisono mai, gli aperitivi...). Il mito spagnolo è talmente trasversale che, come mi racconta Roberto Saviano, ha contagiato anche i boss della camorra. ''Laggiù si sta bene, Robbè, vattene in Spagna'', gli dicevano quando viveva ancora tra di loro. ''E' territorio nostro, è casa nostra".
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Studenti Erasmus, camorristi, free lance, dirigenti d' azienda: tutti sembrano avere un'immagine idealizzata della Spagna. Un amore che si spiega con i versi di un vecchio flamenco: ''Quando si desidera una cosa/sembra un mondo;/dopo averla ottenuta/è solo fumo''. L'attrazione degli italiani verso la Spagna, però, è legittima e naturale. Nasce dalla delusone e dall'illusione, dall'istruzione e dall'ambizione, da un'avanzata cultura politica e democratica e da un'acuta capacità di autocritica. Dal fatto di essere stufi della retorica. Dalla stanchezza che si prova a vedere che le cose più importanti sono decise oltretevere. Dall'incapacità di superare una mentalità da furbetti e la cultra della raccomandazione. Dall'onnipotenza della gerontocrazia. Dal populismo rampante, dalla xenofobia. E dalla scomparsa della sinistra, perchè la verità è che il Partito Democratico italiano è più a destra dei popolari spagnoli su tutti i temi più importanti. C'è poi un altro luogo comune, ormai noto anche all'Economist. Questi simpatici spagnoli - che sono sempre stati convinti di capire l'italiano e che hanno anche il coraggio di parlarlo pur nella loro assoluta goffaggine (simile a quella degli italiani che credono di sapere lo spagnolo aggiungendo qualche esse alla fine delle parole) - oggi sono una società creativa, dinamica, urbana, libera, avanzata, tollerante e aperta. Non sarà questo spettacolare progresso nel campo dei diritti, delle libertà e del benessere, più del tanto sbandierato sorpasso del pil pro capite, a sedurre gli italiani e a spingerli a fare le valigie? Dobbiamo però stare attenti a non ingannarci. Madrid non è la Parigi delle avanguardie e Barcellona non è l'Argentina di inizio Novecento. E' vero, abbiamo Nadal e Pedro Almodovar, Xavi e Torres. Ma, come diceva Mario Vargas Llosa parlando a nome di tutti gli esuli peruviani, se si lascia il proprio paese dipende sempre da questioni interne. Il punto è capire quando è cominciato il declino dell'Italia. E' difficile dirlo, ma è stato allora che la Spagna ha cominciato a essere considerata dagli italiani una possibile meta di emigrazione. Questo flusso di persone continua a stupire gli spagnoli, che come me sono scettici nei confronti del proprio paese e hanno deciso di compiere il percorso inverso, spinti dall'illusione di vivere nel paese di Fellini, Pasolini, Antonioni e Pratolini. Anche i nostri sogni, però, faticano ad avverarsi. Per adesso gli unici cognomi in ''-ni'' che abbiamo incontrato sono quelli di Berlusconi, Veltroni e del sindaco-sceriffo Gentilini. E questo, temo, spiega quasi tutto.
Miguel Mora è il corrispondente dall' italia del quotidiano El País. I suoi articoli sono sempre molto interessanti e pungenti. Per leggerli entrate qui.
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