lunedì 18 aprile 2011

Amniotic Pop 2011

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Lo ammetto: dopo aver ignobilmente snobbato anche ''Imaginary Falcons'' (Night People, 2009) rimasto praticamente immacolato (cellophanato si sarebbe detto qualora si fosse trattato di un vero cd ) e dimenticato tra i files dei miei archivi musicali, è ora ''936'' [quì] (pubblicato dalla Not Not Fun, che lo ha presentato come "groove wave classic") a porgermi finalmente una chance supplementare per accedere al fantastico microcosmo di Indra Dunis e Aaron Coyes e del loro progetto Peaking Lights. Troppo ghiotta questa nuova occasione per essere sprecata, per non dire poi di una serie di giudizi estremamente positivi in sede di recensione che proprio non lasciavano scelta. 
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Parte dunque l'ascolto di ''936'' e poco a poco, ma inesorabilmente, vengo assuefatto da una ritmica leggera ma costante a sostegno di un'avvolgente mantra pseudo-esotico a base di dub, lo-fi, drones e vapori oppiacei; una nebbiolina ipnotica e un turbinio hypnagogico e tropicalista condotto dal synth; la particolarissima combinazione di suoni e voci aliene (che in alcuni casi potrebbero far pensare a cose kraute, a dei Jefferson Airplane futuristi o a delle ESG in acido) il cui pregio è senza dubbio quello di non perdere mai del tutto i propri connotati pop. La sensazione è quella di essere trasportati in un ecosistema mentale a cui, chissà, difficilmente in altro modo si potrebbe accedere. Un lavoro a suo modo estramamente originale, quindi, un sogno (più che un incubo) che ricorda certi spiriti liberi, ribelli e inquieti, viaggi indefinibili e imprevedibili di una moderna psichedelia.
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Decisamente bello anche ''Tomboy'' (Paw Tracks, 2011) [quì], di Panda Bear, anche se forse (almeno a parer mio) non il super capolavoro che qualcuno si aspettava. In ogni caso un'ottima conferma per Noah Lennox dopo i favori di ''Person Pitc'' (Paw Tracks, 2007) di ben quattro anni fa. Nel frattempo successi e impegni (molti) con gli Animal Collective non hanno certo facilitato/favorito le ambizioni personali del ragazzo di Baltimore, che deve aver dovuto faticare non poco per trovare un po' di tempo libero da dedicare al suo orsacchiotto preferito e (finalmente!) alla realizzazzione del nuovo lavoro. 
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Pur mantenendo moltissimi degli ingredienti tipici delle sonorità lennoxiane (mi riferisco soprattutto a quelle caratteristiche stratificazioni sonore che si inseguono, scontrano e sovrappongono in 'snow' creando quella particolarissima patina sognante, fluttuante, psichedelica e ipnotica, marchio di fabbrica dell'intero Collettivo Animale) ''Tomboy'' appare forse più organico, lineare e (in un certo senso) strutturato rispetto ai lavori del passato, evidenziando caratteri più accessibili e (diciamolo) 'pop', tanto che i riferimenti beatlesiani (''White Album'') e beachboysiani (zona ''Pet Sounds'') si fanno francamente inevitabili, fino a diventare chiarissimi proprio nell' ''inno dei surfisti'' (il cui titolo non sembra assolutamente casuale ne tanto meno il rumore delle onde che aprono il brano), ma resta pur sempre un disco che richiede la sua buona dose di attenzione e assimilazione per essere sfruttato appieno, e solo dopo ripetute immersioni esiste la possibilità concreta che si possa trasformare in un'autentico viaggio ricco di luce e gioia di vivere, in quell'esperienza sensoriale in cui l'ascoltatore da semplice spettatore si trasforma in assoluto protagonista.
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