sabato 6 marzo 2010

The creation of my bloody brit postcards


BIFF BANG POW!



Se note a tutti sono state le eccellenti qualità di Alan McGhee quale gestore e talent-scout della celeberrima Creation (una delle più importanti, indie-labels britanniche negli anni a cavallo tra Ottanta e Novanta), sicurmente meno conosciute e celebrate sono state le sue doti di cantante chitarrista e compositore con i Biff Bang Pow! Il nome di battaglia della band è stato preso in prestito da una vecchia canzone dei Creation (guarda un po'), cult-sixties-band inglese dalla effimera e travagliata esistenza, attiva fra il 1966 e il 1968 ed indicata da molti come ''trait d'union'' del sound Mod e di quello più psichedelico.
 


L'esordio dei Biff Bang Pow! coincide con quello dell'etichetta; prima un singolo ''Fifty Years Of Fun'' sul finire dell'ottantaquattro, poi il primo mini album, ''Pass The Paintbrush Honey'', nel Febbraio dell'85, brillante anticipazione delle delizie che seguiranno. In particolare il disco metterà in risalto le notevoli capacità della band di dar vita a una musica melodiosa ed accattivante che, in alcune composizioni, sfocia quasi in performances di pura psichedelia (''A Day Out With Jeremy Chester'') o in più dinamiche po-songs (''Love And Hate'').


Preceduto da due ottimi singoli (il 12'' ''Love's Going Out Of Fashion'' e il 7'' ''Someone Stole My Wheels'') dopo due anni esatti arriva ''The Girl Who Runs The Beat Hotel'', un piccolo fragrante capolavoro, coloratissimo e floreale fin dalla copetina, imperdibile raccolta di di sublumi, irresistibili, semplicissime imitazioni dei Sixties. E quindi, ad appena quattro mesi, ecco ''Oblivion'' (Creation, 1987), ispirata prosecuzione, dai suoni un po' ''induriti'', ma forse l'album più curato del gruppo (''She's Got Diamonds In Her Hair'', ''A Girl Called Destruction'' su tutte). Entrambi i dischi sono splendidi manifesti d'un modo di fare musica che, da una nostalgica passione per il passato, riesce ad elaborare, ina sorta di transizione temporale, stupende miscele sonore in modo anche abbastanza personale, per niente scontate o troppo imitative. Un pop senza tempo dalle melodie un po' retrò e dai suoni freschissimi.
 


Non è difficile capire quanta sincera passione vibri nei cuori di questi ragazzi sospinti dal solo desiderio di comunicare.E così fa anche ''Love Is Forever'' (il mio preferito tra gli album del gruppo) in un alternarsi di morbide composizioni, ballad lente ed avvolgenti che parlano d'amore, e brani più veloci. E come non si potrebbe non restare affascinati da simili canzoni che oltretutto hanno dei titoli quali ''Miss California Toothpaste 1972'', ''Ice Cream Machine'', ''Electric Sugar Child'', ''Startripper'', tra arpeggi velvettiani, organi avvolgenti e ballate romantiche che trasmettono il frenetico ardore di un entusiamo quasi adolescenziale.
 


E ancora brividi ed emozioni quando l'ultimo accordo di ''Love Is Forever'' si spegne tra i toccanti accordi della chitarra sulle foto di un disperso amore. A pensarci bene sembra passata un eternità da quando chiudevo bene la porta della mia stanza e posavo con dolcezza queste solari meraviglie acustiche sul mio giradischi.


Piccola discografia raccomandata

(il downl. di ''Pass...'' è incluso sotto in quello di ''The Girl...'')
(il downl. di ''The Girl...'' comprende il mini ''Pass The...'')

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