Da cinquant' anni continua a finire in testa alle classifiche di tutto il mondo. Ma il suo autore è morto povero e sconosciuto. Questa è la saga di ''Mbube'' la melodia più famosa mai uscita dall'Africa, e delle sue molte vite.
Rian Malan, , Rolling Stone, Stati Uniti
Una volta, tanto tempo fa, nel cervello di un uomo di nome Solomon Linda avvenne un piccolo miracolo. Era il 1939, e Solomon stava in piedi davanti a un microfono nell'unico studio di registrazione dell'Africa nera. All' improvviso successe. Semplicemente aprì la bocca, e ne uscì una matassa di quindici note. La musica scese attraverso i cavi fino a una tremolante puntina che incideva solchi sottili su un blocco rotante di cera, che a sua volta fu trasformato in un disco che diventò un grande successo in quella parte dell' Africa.

Solomon Linda (primo dalla sinistra)
In un secondo momento la canzone prese il volo e atterrò negli Stati Uniti, dove si trasformò in uno dei veri classici immortali della musica pop, salì in vetta alle classifiche di quel paese e poi in tutto il resto del mondo per ripresentarsi regolarmente, sotto diversi titoli e forme, ogni dieci anni. Gli indiani navajo la cantano nelle lorocerimonie. I francesi preferiscono una versione in congolese. È stata registrata da artisti diversissimi,come i R.e.m. e Glen Campbell, Brian Eno e Chet Atkins, i Nylons e il re della musica da ascensore Bert Kaempfert. L' esercito della Nuova Zelanda l'ha trasformata in una marcia. Hollywood l'ha messa in Ace Ventura: l' acchiappanimali. Ha accumulato quasi tre secoli di passaggi radio solo negli Stati Uniti. È la melodia più famosa che sia mai venuta dallAfrica, una canzone che è penetrata così a fondo nella coscienza collettiva, attraverso tante generazioni, che si può davvero dire: ecco una canzone che tutto il mondo conosce. La sua avventurosa saga transculturale rappresenta anche, in un qualche modo, la storia della musica popolare: entrata pallida e zoppicante nel Ventesimo secolo, ne è uscita danzando, rinvigorita da trasfusioni di ragtime e rap, blues e soul. Tutta musica che arriva attraverso le navi di schiavi, le piantagioni e i ghetti dall' Africa. Era nella natura di questo scambio che i neri dessero più di quanto avevano, per non ricevere spesso nulla in cambio. Questo articolo è per Solomon Linda, uno zulu che ha scritto una melodiache ha fatto guadagnare una quantità incalcolabile di miliardi ai bianchi, ma che è morto così povero che la sua vedova non ha potuto permettersi una lapide per la sua tomba. Cominciamodall' inizio. O meglio, per restare in tema, dalle prime battute.
Parte prima
UNA STORIA CHE PARLA DI MUSICA.
Questo è un racconto africano, ma comincia con l'improbabile amicizia fra un aristocratico imperialista britannico e un nero americano famoso in tutto il mondo. Sir Henry Brougham Loch era un astro in ascesa dell'amministrazione coloniale britannica. Orpheus McAdoo era il leader del famoso gruppo dei Virginia Jubilee Singers, i re dello spiritual. Si incontrarono in occasione del trionfale tour di McAdoo in Australia negli anni Ottanta dell'Ottocento. Quando qualche anno dopo SirHenry diventò governatore della Colonia del Capo, pensò che a Orpheus poteva interessare di venire a trovarlo. Pocodopo McAdoo e il suo gruppo erano sulle strade del Suda-frica, a fare concerti in villaggi polverosi e città minerarie per folle che li guardavano a bocca aperta. La musica americana era una rivelazione per gli indigeni civilizzati, fino a quel momento costretti a indossare camicie con il colletto inamidato e a cantare orribili nenie sotto la direzione di arcigni missionari bianchi. Certo, McAdoo era un severo ex predicatore, ma nella sua musica c'era una carica ritmica sovversiva, una miscela primordiale di funk e soul. I fratelli africani non avevano mai sentito una cosa simile. Il tour si trasformò in una saga di cinque anni. Dovunque arrivava Orpheus, complessi di musica jubilee spuntavano sulla sua scia, arrivando alla fine a penetrare anche nei più remoti avamposti del mondo civile. Uno di questi era la Gordon Memo-rial School, arrampicata sui pendii di una vallata selvaggia chiamata Msinga, nel cuore delle terre zulu, circa 300 chilometri a sudest di Johannesburg. Fra i pastorelli seminudi che scorrazzavano per la missione c'era un ragazzino pelle e ossa di nome Solomon Linda, nato nel 1909, che si innamorò dello stile sincopato di Orpheus, e su quello rielaborò frammenti di canzoni zulu che lui e i suoi amici cantavano ai matrimoni e alle feste.
PASSO LEGGERO.
Verso la metà degli anni Trenta, Solly e i suoi amici si tolsero di dosso un po' di polvere e sterco di vacca e presero il treno per Johannesburg, la città d'oro, dove si sistemarono nei quartieri poveri cominciando a lavorare come lavapiatti e operai. Quella vita non li convinceva. Solomon teneva gli occhi aperti e trasformava ciò che vedeva in canzoni che eseguiva la domenica cantando a cappella con i suoi compaesani. Parlavano di lavoro, di crimine, di come le banche ti derubavano dandoti pezzi di carta invece che vero denaro. Alla gente quella musica piaceva: nel giro di due anni Solly e i suoi amici si trasformarono in un complesso cittadino alla moda, con vestiti gessati, bombetta e scarpe bicolori da elegantoni.

Solomon Linda (primo da sinistra) e il suo gruppo, gli Evening Birds. Johannesburg, 1939
Erano Solomon Linda e gli Evening Birds, inventori di una musica che sarebbe stata inseguito conosciuta come isicathamiya e identificata con la frase ''Cothoza, bafana'' (Passo leggero, ragazzi). Erano zulu: le loro danze tradizionali erano ritmate da un potente battere di piedi che, fatto da più persone all'unisono, faceva letteralmente tremare la terra. Nel bush andava benissimo, ma se battevi i piedi così in città rischiavi di spaccare le assi del pavimento, o romperti i piedi, e quindi il modo di danzare doveva essere ridimensionato. Qualcuno avrà presente i movimenti felini e stranamente leziosi dei Ladysmith Black Mambazo sul palco. Quello è avere il ''passo leggero''. Cerano legioni di ragazzi dal passo leggero nelle città del Sudafrica: di solito immigrati zulu che dedicavano i loro sabato sera a epici baccanali innaffiati di birra, noti col nome di ''riunioni per il tè''. Si trattava in parte di sfilate di moda, in parte di eroiche tenzoni fra i gladiatori del coro a cappella, in cui spesso un bianco preso a caso dalla strada faceva da giudice e il primo premio consisteva in una mucca o una capra. La borghesia locale nera era mortificata da queste buffonate. I ragazzi dal passo leggero erano fonte di imbarazzo, e venivano costantemente derisi per le loro grida da ''primitivi'' e le canzoni ingenue, che parlavano di argomenti come la stregoneria, il crimine, i filtri magici per conquistare il cuore delle ragazze. I gruppi avevano nomi tipo Naughty Boys (Ragazzacci) o Boiling Waters (Acque bollenti), ma quando scoppiò la Seconda guerra mondiale alcuni di loro cominciarono a farsi chiamare 'mbombers, dai cacciabombardieri Stukas che si vedevano nei cinegiornali. Gli 'mbombers erano il fenomeno sociale e culturale nero di gran lunga più diffuso del loro tempo. Il suono selvaggio delle canzoni era il risultato del raddoppiamento delle voci di basso, un'innovazione dovuta in gran parte a Solomon, come i vestiti di lusso e i nuovi passi di danza. Era l'Elvis Presley del suo popolo: un trentenne timido, dinoccolato, tanto alto che doveva chinarsi per passare dalle porte. È strano immaginarlo cantare in falsetto, ma di solito era quella la sua parte nel gruppo: era il leader, il comandante, e cantava quel che gli zulu chiamano fasi pathi, un falsetto da brivido.
NASCITA DI UN MIRACOLO.
Gli Evening Birds furono scoperti nel1938 da un talent scout e trascinati subito in un ufficio nel centro di Johannesburg. Lì videro il primo studio di registrazione dell'Africa subsahariana, che era arrivato via mare dall'Inghilterra con Eric Gallo, un italiano gioviale che si era fatto strada in campo musicale vendendo dischi di musica popolare americana ai proletari boeri. Ben presto era stato in grado di acquistare macchinari propri e di sfornare canzoncine nelle parlate locali, prima afrikaans, poi zulu, xhosa e così via. Il suo alleato in questo esperimento era Griffith Motsieloa, il primo produttore nero del paese: un tipo un po' rigido e formale le cui vere passioni erano la musica classica e gli eisteddfod, riunioni importate dal Galles in cui raffinati gentiluomini africani si intrattenevano chiaccherando in un inglese ampolloso. Motsieloa era disgustato dalla povertà culturale del suo capo, ma che poteva fare? Gallo era deciso a vendere dischi ai neri. Quando si accorse che l'afrocountry non prendeva piede, decise di provare con un po' di isicathamiya. Solomon Linda e gli Evening Birds registrarono alcuni pezzi sotto la direzione di Motsieloa, ma quello che interessa a noi si chiamava Mbube, parola zulu per ''leone''. Fu registrato nella loro seconda session, nel 1939.
Era un semplice motivetto di tre accordi con un testo che diceva più o meno ''Leone! Ha! Sei un leone!'', ispirato a comuni ricordi d'infanzia dei ''birds'', cresciuti in un villaggio zulu, quando cacciavano i leoni che si avvicinavano alle mandrie dei loro padri. Il primo tentativo andò a vuoto, e così anche il secondo. Motsieloa, esasperato, acchiappò i primi musicisti che passavano nei corridoi dello studio - un pianista, un chitarristae un suonatore di banjo - e ci provò ancora. All'inizio anche il terzo tentativo sembrava un fallimento, con musicisti esitanti che andavano per tentativi cercado l'intonazione; ma appena riuscirono ad andare tutti isieme, il risultato passò alla storia. Mbube non era una cazone particolare, ma c'era qualcosa di incredibilmente coivolgente nel canto di accompagnamento, un denso intreccio di voci di basso, su cui Solomon intonava mugugni e gorgheggi per due entusiasmanti minuti, improvvisando qua e là. Ma la registrazione raggiunse l'immortalità negli ultimi secondi, quando Solly prese fiato, aprì la bocca e improvvisò la melodia che ora il mondo associa alle parole: ''In the jungle, the mighty jungle, the lion sleeps tonight''. Probabilmente Griffith Motsieloa capì di avere per le mani qualcosa di speciale: il master del disco fu subito spedito via nave in Inghilterra e tornò sotto forma di dischi a 78 giri da dieci pollici, che arrivarono sul mercato proprio mentre Hitler invadeva la Polonia. Era difficile far conoscere la canzone, perché nel 1939 le radio nere erano praticamente inesistenti. Fortunatamente cominciò a essere passata su un'emittente locale che trasmetteva musica, notizie e propaganda sulla ''questione indigena'' nei quartieri neri. A poco a poco la gente cominciò a chiedere il disco nei negozi. I clienti continuarono ad aumentare per anni e anni, e furono necessarie tante ristampe da disintegrare il master. Nel 1948 Mbube aveva venduto attorno alle cetomila copie, e Solomon Linda era il campione imbattibile delle gare canore dei dopolavoro e una superstar fra gli immigrati zulu.

Il 78 giri originale di Mbube
UN BANJO ANTIFASCISTA.
Dall' altra parte del mondo, Pete Seeger non se la stava passando bene. Suonava il banjo e viveva in un appartamento senza acqua calda a MacDougal Street, nel Greenwich Village, a New York, con una moglie, due figli e niente soldi. Rampollo di una benestante famiglia progressista della città, aveva lasciato Harvard dieci anni prima e si era messo a vagabondare col banjo in spalla, imparando le canzoni disperate della gente delle bidonville, delle segherie e delle miniere di carbone dell'America della Grande depressione. A NewYork suonava in un gruppo con Woody Guthrie. Indossavano camicie da lavoro e jeans, e scrivevano canzoni folk che avevano come protagonista l'uomo della strada, vittima dello sfruttamento, in lotta con i vampiri capitalisti.


Woody Guthrie
Sulla chitarra di Woody campeggiava lo slogan: ''Questa macchinauccide i fascisti''. Sul banjo di Pete c'era una versione più moderata e gentile: ''Questa macchina attacca l'odio e lo costringe ad arrendersi''. Era un hippie ante litteram, solo che non si faceva le canne e non beveva neanche un goccio di birra. Era anche un pacifista, o almeno lo fu fino a quando Hitler invase la Russia. Subodorando un complotto capitalista contro il coraggioso esperimento socialista sovietico, Pete e Woody diventarono da un giorno all'altro guerrafondai e cominciarono a scrivere canzoni di guerra contro i nazisti, cosa che li rese brevemente famosi. Poi per Pete arrivò l'uniforme e la partenza per il fronte, dove suonava il banjo per i soldati annoiati. Congedato nel 1945, tornò a New York, dove trovò una specie di impiego nella scuola pubblica per insegnare ai bambini a cantare le canzoni popolari quasi dimenticate della tradizione degli Stati Uniti.

Un giorno bussò alla porta il suo amico Alan Lomax, che qualche decina d'anni dopo verrà considerato il padre della world music. Alan lavorava per la Decca, e lì aveva recuperato una confezione di dischi mandati dall'Africa da una casa discografica locale nella vana speranza che qualcuno in America volesse distribuirli. Stavano per buttarli via quando Alan intervenne, pensando: ''Questa è roba per Pete''.
DA ''MBUBE'' A ''WIMOWEH''
Ed eccoli qui: fragili dischi a 78 giri, uno dei quali con scritto Mbube sull'etichetta. Pete lo mise sul suo vecchio Victrola e ascoltò. ''Cavolo'', pensò, ''questa po-trei cantarla io''. Tirò fuori carta e penna e cominciò a trascrivere la canzone, ma non riusciva a capire le parole. Gli zulu cantavano ''Uyim-bube, uyimbube'', ma a Pete sembrava una cosa tipo ''awimbowee'', o forse ''awimoweh'', ed è così che lo trascrisse. Poi insegnò Wimoweh agli altri componenti del suo gruppo, gli Weavers, e quella diventò ''una delle canzoni che ho cantato più volentieri per quarant'anni''. Pete era stanco di appartamenti senza acqua calda e voleva una vera carriera, come si conveniva a un ultratrentennepadre di due figli. Era riuscito a trovare un lavoro alla tv, ma qualcuno lo aveva indicato come un pericoloso simpatizzante di sinistra e gli aveva fatto perdere il posto ancora prima di cominciare. A quel punto, secondo il suo biografo David King Dunaway, cadde in una depressione che finì solo quando il suo gruppo ottenne una scrittura al VillageVanguard di New York. Avendo evidentemente deciso che voleva fare la miglior impressione possibile, Pete consentì a sua moglie di vestire gli Weavers con dei coordinati di velluto blu, una concessione alle regole dello show business fino ad allora inimmaginabile. La paga era di duecento dollari alla settimana, più hamburger gratis, e la scrittura era per sole due settimane. Ma successe qualcosa di inatteso: la gente cominciò ad arrivare a frotte.

Lo spettacolo fu prolungato di un mese, poi di un altro. L'attrazione esercitata dagli Weavers era incomprensibile per i puristi della musica popolare, che facevano notare che le loro canzoni esistevano da sempre, in oscure versioni di neri o di contadini del sud che non avevano mai raggiunto il successo. Quel che sfuggiva ai detrattori è che Seeger e compagni erano riusciti a filtrare la puzza di povertà che emanava dalla musica proletaria, rendendola appetibile e divertente per i borghesucci dell'era di Eisenhower. Dopo sei mesi gli Weavers facevano ancora il tutto esaurito al Vanguard, accogliendo anche qualche esule dai locali di lusso di Times Square. Gordon Jenkins era uno di loro, un appassionato di jazz dal colorito olivastro, con dei baffi da gigolò e i capelli pettinati all'indietro con la brillantina come un divo del cinema. Jenkins aveva cominciato come arrangiatore per Benny Goodman, prima di raggiungere il successo in proprio con l'orrenda Im Forever Blowing Bubbles. Adesso faceva qualche arrangiamento per Frank Sinatra ed era anche direttore artistico della Decca.

A Jenkins piacevano gli Weavers, e tornava tutte le sere, a volte fermandosi a vedere due volte lo spettacolo. Voleva metterli sotto contratto, ma i suoi capi erano in dubbio. Solo quando Jenkins si offrì di pagare lui stesso per le sedute di registrazione la Decca capitolò, e concesse una possibilità a questi cantantucoli folk. La loro prima registrazione uscì nel giugno del 1950. Era Goodnight Irene, una vecchia canzone d'amore che avevano imparato dal loro amico Lead Belly, e fece subito clic, come si diceva allora. Il lato b era una hora israeliana dal titolo Tze-na, Tzena, Tzena, e andò bene anche quella. Così come The Roving Kind, un motivo folk dell'Ottocento uscito a novembre, e On Top of Old Smoky, che salì fino al terzo posto delle classifiche la primavera successiva.

Woodie Guthrie e Led Belly
Gli Weavers erano passati dai concerti amatoriali ai palchi dei più eleganti locali e casinò. Vestivano in completo e cravatta, si imbrillantinavano i capelli, andavano in televisione e guadagnavano duemila dollari alla settimana. Amareggiati e invidiosi, i loro ex compagni cominciarono a bersagliarli sulle riviste specializzate: ''Come può un gruppo tutto di bianchi cantare canzoni della cultura nera?''. La risposta era, ovviamente, nella canzone che Seeger chiamava Wimoweh. La sua versione era fedele all'originale zulu quasi in ogni aspetto tranne che per il ritmo con le dita schioccate, che suonava forse un po troppo bianco per un palato fine, ma non disturbava più di tanto. Il vero banco di prova era la parte vocale, e qui Seeger passava a pieni voti, cantando a squarciagola dal più profondo del cuore e tendendo le corde vocali allo spasimo. Wimoweh era la canzone di gran lunga più difficile nel repertorio degli Weavers, ed è forse per questo che attesero un anno primadi registrarla.
CACCIA ALLE STREGHE
Come tutte le altre loro registrazioni dell'epoca, Wimoweh fu prodotta da Gordon Jenkins con un' orchestra di appoggio. In precedenza Jenkins era stato molto modesto nel suo approccio strumentale, limitandosi ad aggiungere agli allegri coretti degli Weavers un po di violini qua e là. Forse aveva cominciato ad annoiarsi, perché il suo arrangiamento di Wimoweh era invece un esplosione di libidine orchestrale che sembrava appena uscita da Las Vegas, e che raggiungeva quasi il barbarico splendore dell' originale zulu. Tromboni squassanti e trombe squillanti accom-pagnavano la miracolosa melodia di Solomon. E poi Pete si scatenava con i suoi urli. Era una rivoluzione rispetto a quel che gli Weavers avevano fatto in precedenza, ma alla redazione di Billboard, allora indiscussa autorità del mercato musicale, piacque al punto che fu scelta come successo della settimana. Più o meno nello stesso periodo, però, su Variety uscì un articolo dal titolo: ''Altri cinque personaggi di Hollywood accusati di essere dei rossi'. Chaplin sotto inchiesta''. Era il gennaio del 1952, e l'America era impegnata in una folle caccia ai rossi nascosti nell'armadio. Lo House Un-American Affairs Committee, il comitato che si occupava dei ''nemici'' politici del paese, stava indagando su Hollywood; uscivano le prime liste di artisti con simpatie comuniste; e a Washington un certo Harvey Matusow cominciò a parlare con gli ispettori federali. Matusow era un ometto subdolo che aveva lavorato con Seeger a Peoples Songs, un'associazione di sinistra che organizzava concerti di cantanti folk durante i picchetti o nelle assemblee. Poi aveva cambiato idea, e aveva deciso di raccontare tutto della sua vita segreta nelle fila nascoste del comunismo. Il 6 febbraio del 1952, propriomentre Wimoweh entrava in classifica, si piazzò davanti a un microfono della commissione e raccontò una delle storie più pazzesche di tutta l'era McCarthy. Quei maledetti rossi, disse, ''approfittavano della debolezza sessuale della gioventù americana'' per reclutarli nel loro temuto movimento. Ed era anche disposto a fare i nomi di membri del Partito comunista, fra cui tre degli Weavers - Pete Seeger incluso. La stampa impazzì. I giornalisti chiamarono il proprietario del locale in cui gli Weavers dovevano esibirsi quella sera chiedendo come mai ''sosteneva il nemico''. Lo spettacolo fu annullato, e da lì le cose precipitarono. Le radio misero al bando le canzoni degli Weavers, le apparizioni in tv furono cancellate. Wimoweh precipitò dal sesto posto all'oblio. I proprietari di night club non volevano neanche parlare con gli agenti degli Weavers. Alla fine anche la Decca li abbandonò. Entro la fine dell'anno tutto era perduto, e Pete Seeger era di nuovo al punto di partenza, a insegnare canzoni popolari ai ragazzini per due lire. Gli Weavers erano morti, ma Wimoweh continuava a vivere, e aveva affascinato il musicista jazz JimmyDorsey, che la incise nel 1952, e la focosa Yma Sumac che ne fece una versione lounge che qualche anno dopo ebbe una certa fama. Verso la fine del decennio finì anche in Live from the Hungry I, un lp del Kingston Trio che rimase incredibilmente in classifica per 178 settimane. Ormai negli Stati Uniti chiunque conosceva il ritornello di base: non c'è quindi da stupirsi se il 45 giri dell'estate del 1961 fu di quattro simpatici ragazzi ebrei che cantavano ''Ah-weem-oh-way, ah-weem-oh-way'', schioccando le dita.
QUATTRO GIOVANOTTI EBREI.
I Tokens erano degli autentici ragazzi di Brooklyn, cresciuti ascoltando i dj come Alan Freed e le sognanti melodie di Dion and the Belmonts e degli Everly Brothers.

Dei giovanissimi Tokens
Hank Medress e Jay Siegel si erano incontrati al liceo Lincoln High, dove cantavano in un quartetto doo-wop nel quale aveva militato per un po' Neil Sedaka. Phil Margo era un batterista e pianista in erba, anche lui del Lincoln High, e Mitch Margo era il suo fratellino quattordicenne. Le ragazze si erano già accorte di loro, perché i Tokens erano apparsi alla tv nella popolarissima trasmissione American Bandstand per cantare il loro successo ''Tonight I Fell In Love''. Appena usciti dal liceo strapparono un contratto per tre dischi con la Rca Victor, con un anticipo di diecimila dollari e la possibilità di lavorare con Hugo Peretti e Luigi Creatore, celebri produttori di Sam Cooke, Frankie Lymon e molti altri.

Questa era gente che aveva lavorato con Elvis! I Tokens conoscevano Wimoweh grazie al loro cantante Jay, che l'aveva sentita su un vecchio album degli Weavers. Era una delle canzoni che avevano cantato quando avevano fatto l'audizione con Huge e Luge, come erano soprannominati Peretti e Creatore nellambiente. I produttori avevano detto: ''Sì, questa canzone è interessante, ma diche parla?''. ''Di mangiare i leoni'', risposero i Tokens, come qualche burlone del consolato sudafricano gli aveva fatto credere. In quel momento probabilmente Peretti e Creatore alzarono gli occhi al cielo: non era certo un argomento che poteva andar bene per un singolo. Così decisero di riadattare la canzone, mettendoci delle parole comprensibili e dandole un tocco moderno. Mandarono a chiamare George David Weiss, un ragazzo gentile in giacca blu che si stava facendo un nome nel pop per adulti curando gli arrangiamenti per Doris Day e Peggy Lee. I Tokens lo consideravano noiosissimo, poi scoprirono che era coautore di ''Can't Help FallingIn Love With You'' di Elvis Presley. Questo cambiava tutto.

Così Weiss si portò a casa Wimoweh e la ascoltò per bene. A un giovane colto come lui, laureato alla Juilliard, quei mugolii primitivi non piacevano molto, ma il canto era ok e parte della melodia era molto orecchiabile. Così smantellò la canzone, tagliò tutti quegli strilli e strepiti, e rimontò quel che ne restava in un altro modo. Il canto rimaneva immutato, ma la melodia - il miracolo melodico di Solomon Linda - adesso si trovava al centro della canzone, con delle nuove parole: ''In the jungle, the mighty jungle''. Negli anni successivi Weiss si è sempre mostrato un po' diffidente rispetto ai suoi riadattamenti: li chiamava ''trucchetti'', come se si vergognasse di essere associato a così frivole espressioni della musica pop. Phil Margo sostiene che è perché Weiss non ha scritto nulla se non trentatré parole di un testo ridicolo, ma questa è unaltra storia. Quel che ci interessa ora è la sostanza melodica della canzone, e su questo tutti sono daccordo: ''The Lion Sleeps Tonight'' era una rielaborazione di Wimoweh, che era a sua volta una copia di Mbube. La musica di Solomon Linda era sepolta sotto molti strati di arrangiamenti pop, ma la si sentiva ancora sotto la superficie levigata, come un mammut intrappolato in un blocco trasparente di ghiaccio. La canzone fu registrata negli studi di Manhattan della Rca il 21 luglio del 1961, con un'orchestra e una sezione ritmica noleggiate per l'occasione. Il batterista tentava di creare un suono da tam tam della giungla ''autentico'', tre dei Tokens facevano ''wimoweh'', mentre Jay Siegel cantava la melodia con il suo limpido falsetto e Anita Darian, una cantante d'opera che si prestava anche per questi lavoretti, scendeva in picchiata e si librava in alto nel cielo, in quel controcanto ammaliante che è una delle grandi meraviglie della canzone. Un po' di sovrincisioni e, più o meno, il disco era pronto. Se ne andarono tutti a casa, senza sospettare che il loro lavoro sarebbe passato alla storia.

I Tokens erano insoddisfatti del nuovo testo, che a loro sembrava freddo e poco adatto ai ragazzi. Hugo e Luigi erano così presi da altre cose che fecero il mix finale al telefono e la Rca ci mise la ciliegina sopra facendo uscire la canzone come lato b di una canzoncina banale, ''Tina'', che naufragò miseramente. Strano, no? Stiamo parlando di un pezzo pop di tale potenza che quando il leader dei Beach Boys, Brian Wilson, lo sentì alla radio per la prima volta era talmente emozionato che dovette accostare con la macchina. Eppure ''The Lion Sleeps Tonight'' probabilmente non sarebbe nemmeno arrivata alle sue orecchie se Dick Smith, un dj di Worcester, Massachusetts, non avesse girato il nuovo 45 giri dei Tokens per sentire cosa cera sull'altro lato. La radio di Smith, la Worc, cominciò a trasmettere ''The Lion Sleeps Tonight'' in continuazione. La canzone sfondò prima a livello locale, poi arrivò nelle classifiche nazionali a novembre e si piantò rapidamente al primo posto.
LACONQUISTA DEL MONDO
Nel giro di un mese una cover fatta da un certo Karl Denver arrivò al primo posto in Gran Bretagna. Nell' aprile del 1962 la canzone era ai primi posti in quasi tutte le classifiche occidentali, e andava dritta verso l'immortalità. Miriam Makeba la cantò alla festa di compleanno di John F. Kennedy, qualche momento prima del famoso ''Happy birthday, mr. President'' di Marilyn Monroe. La ascoltavano gli astronauti dell'Apollo sulle rampe di lancio a Cape Canaveral, in Florida. Fu ripresa dagli Springfields, dai Tremeloes e da Glen Campbell. Nel 1972 tornò in classifica, al terzo posto, nella versione di Robert John. Brian Eno la registrò qualche anno dopo. Nel 1982 era di nuovo al primo posto in Gran Bretagna, stavolta cantata dai Tight Fit. Dopo l' hanno cantata i R.e.m., i Nylons e i They Might BeGiants. Manu Dibango ne ha fatto una sua versione. Un gruppo tedesco l'ha trasformata in un violento heavy metal. Un campionamento è finito nel successone rap Mash Up da Nation. Disney l'ha usata per la colonna sonora di Il Re Leone e nella produzione teatrale dallo stesso titolo, che continua a riempire le platee di mezzo mondo. È in centinaia di cd per bambini con dei leoncini sulle copertine e in una serie infinita di compilation nostalgiche. Ha più di sess'antanni, ed è ancora onnipresente.Cosa significa questo in termini di diritti d'autore e relativi guadagni? Ho girato questa domanda a vari avvocati di diversi paesi, e loro si sono grattati la testa. Circa 160 registrazioni di tre diverse versioni? Quattordici film? Una mezza dozzina di pubblicità in tv e un musical di successo? Passaggi radio continui in ogni parte del mondo? È impossibile fare un calcolo preciso, ma 15 milioni di dollari sembra a tutti una cifra sensata. Il che solleva un interrogativo ancora più interessante: che ne è stato del malloppo?
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