Quando centoventimila anni fa l’homo sapiens lasciò l’africa per conquistare il resto del mondo, partì probabilmente da queste coste: pietre vulcaniche disseminate su un secco deserto roccioso, un inospitale paesaggio lunare, rari cespugli immersi in una calura opprimente. Fu una prova di coraggio e d’intelligenza da parte di quel centinaio di homo sapiens che decisero di voltare le spalle alla depressione della
Dancalia e di attraversare il mare, arrivando nell’attuale Yemen. Gli altri restarono a guardare dalla riva desolata i pionieri in partenza, scossero la testa e si girarono dall’altra parte alla ricerca di una nicchia d’ombra ai piedi della catena montuosa. Oggi gli
afar sono ancora lì, il popolo più coraggioso e tenace d’Eritrea. Se questa storia fosse vera, allora saremmo tutti eritrei. […]
L’Eritrea ha un migliaio di chilometri di coste sul Mar Rosso, e davanti a queste ci sono centinaia di isole incontaminate. Appena sotto la superfice dell’acqua c’è una barriera corallina unica, con una popolazione marina senza eguali: un paradiso per pescatori sportivi e amanti delle immersioni. Ma sembra che in Eritrea i turisti non abbiano vita facile. Questo dipende in primo luogo dal fatto che il contenzioso sul confine con l’Etiopia, che ha portato alla guerra tra il 1998 e il 2000, non è mai stato del tutto risolto. […].
L’Italia nelle sue colonie non si è mai comportata meglio degli altri paesi, ma ha puntato molto su quei territori, convinta che i suoi investimenti avrebbero contribuito ad assicurare un futuro agli italiani senza lavoro in patria. Portarono quindi materie prime e attrezzature in Eritrea e costruirono gallerie, fabbriche, strade, case, ospedali, un’importantissima funivia (smontata tutta pezzo per pezzo dagli inglesi che hanno lasciato solo i piloni) e la ferrovia, che da Massaua porta fino alla capitale Asmara e da lì prosegue fino ad Agordat. Insomma, negli anni Trenta l’Eritrea aveva l’economia più sviluppata dell’Africa. […]
Nel
1993, dopo quasi trenta sanguinosi anni, l’Eritrea è diventata uno stato autonomo attraverso un referendum popolare. In quell’occasione il presidente
Isayas Afeworki ha tenuto il suo primo discorso di fronte alle Nazioni Unite:
''Non posso fare a meno di ricordare le grida di aiuto che ogni anno abbiamo inviato a questa organizzazione e ad alcuni dei suoi membri per richiamare l’attenzione sulle richieste della nostra gente. L’Onu però si è rifiutata di levare la sua voce a difesa di un popolo di cui aveva ingiustamente deciso il destino, con la falsa promessa di proteggerlo''. Non è in questo modo che una giovane nazione si fa degli amici, ma l’Eritrea è uno dei paesi più ostinati dell’Africa. Senza la testardaggine dei suoi abitanti non esisterebbero neanche. Quando durante la seconda guerra mondiale i britannici cacciarono dall’Eritrea le truppe di Mussolini, nessuno potè impedire che smontassero ferrovie, funivie, intere fabbriche, fatte a pezzi e poi rimontate nelle loro colonie.
Dopo la guerra, l’Onu approvò un cattivo compromesso, in base al quale l’Eritrea diventò parte di una federazione con l’Etiopia. Tutti sapevano che appena fosse partita la delegazione dell’Onu, Addis Abeba avrebbe dimenticato i patti e si sarebbe annessa l’intera Eritrea. Andò proprio così: gli etiopi si appropriarono di ciò che restava delle industrie e delle infrastrutture e in pochi anni l’Eritrea fù catapultata indietro all’età della pietra. I movimenti guerriglieri cominciarono la resistenza. Durante i trent’anni di guerra per l’indipendenza, gli appelli degli eritrei all’Onu per il rispetto degli accordi stabiliti non ottennero mai risposta, visto che formalmente l’Eritrea non esisteva più. Gli Stati Uniti, privilegiando gli interessi strategici sulla tutela dei diritti umani, restarono sempre al fianco dell’alleato etiope, considerato prima un appoggio nella battaglia contro il blocco dell’est e poi un baluardo della cristianità contro il terrorismo islamico. Quando l’Etiopia spodestò
Hailé Selassié e diventò socialista, anche il blocco dell’est smise di sostenere l’indipendenza eritrea: era inconcepibile che un movimento ribelle marxista combattesse contro uno stato marxista. Così l’Eritrea rimase da sola. Nel suo discorso alle Nazioni Unite Afeworki lo ha detto chiaramente: il fatto che l’Eritrea esista, lo deve solo a sé stessa. L’unica cosa per la quale gli eritrei devono ringraziare sono le poche traccie rimaste degli investimenti italiani: le ferrovie, che negli ultimi anni hanno ricostruito con le proprie forze, e l’incomparabile capitale, Asmara. […]
Di fatto l’Eritrea è esistita davvero solo per cinque anni, dalla fondazione dello stato fino all’ultima guerra con l’Etiopia, costata la vita a settantamila uomini. Nel Dicembre del 2005 una comissione internazionale, con sede all’Aja, ha stabilito che in questo conflitto Asmara è stata l’agressore ufficiale. Ma allo stesso tempo ha riconosciuto le sue ragioni. Nel 2000, infatti, un’altra commissione indipendente aveva definito il tracciato del confine conteso, ed entrambe le parti si erano impegnate a rispettare la decisione. L’Etiopia però ha violato gli acordi. Intanto il presidente Afeworki si è trasformato in un dittatore. Oggi in Eritrea le leggi vengono scritte con la matita, per poter essere cancellate il giorno dopo. I giornalisti e i dissidenti vengono incarcerati. La costituzione del 1997 non è ancora entrata in vigore. I giovani vengono precettati per il servizio militare e passati due anni di leva hanno difficoltà a tornare alla vita civile. Nel paese c’è solo un partito e lo stato ha pieno controllo su ogni sfera della vita. Ma tutti possono ascoltare la Bbc, guardare la Cnn e navigare su Internet. Il governo, a parte le ingenti spese militari, si concentra sui servizi essenziali come la scuola, le infrastrutture e l’alimentazione. […] E in ogni caso in Eritrea continua ad esserci un ottimismo contagioso.
[ Brani tratti da un articolo pubblicato nel 2006 da Plinio Bachmann su Das Magazine, Svizzera]
ASMARA ALL STARS
L'Eritrea è uno dei paesi più giovandi del mondo per media d'età. Ci sono circa cinque milioni di abitanti, e quelli che lavorano, nella stragrande maggiranza dei casi, lo fanno per lo stato. Purtroppo non si può certo dire che ad Asmara i musicisti abbondino, e nemmeno i vecchi canti ribelli, così cari al popolo eritreo, sembrano più riscuotere la stessa passione di un tempo. Anche per questo registrare un disco da quelle parti dev'essere impreasa tutt'altro che facile. Un piccolo aiuto in questo senso è arrivato però nel 2008 dal produttore francese Bruno Blum (famoso soprattutto per il lavoro svolto nei dischi ''reggae'' di Serge Gainsboug) arrivato nella capitale eritrea con l’intenzione di dar vita a un'ambizioso progetto chiamato Asmara All Stars che recuperasse lo spirito del glorioso passato musicale di una città e di un paese, favorendo la 'rinascita' di vecchie leggende della musica eritrea come Ibrahim Goret e Brkti Weldeslassie. Accanto a loro altri talenti, più giovani: Faytinga, Adam Hamid, Temasgen Yared e Sara Teklesenbet, ma anche membri di band di soul e blues come Kunama, Nara, Bilen, Afar, Saho, Hedaareb, Tigré e Tigrigna. La band ha appena pubblicato per l'etichetta Out Here Records quello che per il momento è il loro primo album: ''Eritrea's Got Soul'' [ascolta]
Nel disco, registrato con un sistema analogico e una sezione di fiati importante, si combinano disparate sonorità, e il suono di questa formazione è la summa di molteplici esperienze ed influenze musicali, incluso quelle provenienti dalla sponda opposta di uno dei confini più ''segnati'' d’Africa. L’uso di antichi strumenti tradizionali abissini, vengono infatti combinati con elementi soul, jazz, reggae (e in qualche caso anche hip hop), sempre in bilico tra vecchio e nuovo. C’è chi, (in risposta all’Ethio-Jazz) si è già spinto a parlare di Eri-Jazz, ma anche queste etichettature e considerazioni lasciano il tempo che trovano. Io invece preferisco solo prendere atto della bontà di un disco che nel suo piccolo, in un paese complicato e contraddittorio come l’Eritrea, rappresenta comunque un segnale estemamente importante.
FAYTINGA
Tra i nomi convolti nel progetto degli Asmara All Star c’è anche la cantante Faytinga. Nata nel 1963, l’artista eritrea appartiene all’etina Kunama, una tribù in cui uomini e donne hanno gli stessi diritti. Faytinga è un nome che suona come la storpiatura di quello paterno; Faid Tinga, venerato dai Kumana che combattevano per l’indipendenza del proprio paese per essere un oppositore talmente focoso che i beffardi inglesi, all’inizio degli anni Cinquanta, lo ribattezzarono Fighting Gun (fucile da combattimento). Lei invece si arruola nell’esercito nel 1978, all’età di 14 anni, e resta al fronte fino al 1991, data della ''fragile'' fine della guerra eritreo-etiope. Il sogno di Faytinga, che era sempre stato quello di cantare, inizia a realizzarsi proprio quando viene inviata a intrattenere le truppe al fronte con canzoni in grado di infondere ai soldati speranza e determinazione. Proprio in quegli anni inizia a comporre brani propri, senza però rinunciare alle interpretazioni e alle riproposizioni di artisti e celebri poeti del suo paese che musica accompagnandosi al suono dell’immancabile krar, la lira tradizionale della sua regione.
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Faytinga: Numey (Cobalt, 1999) |
Consumata ed elegante ballerina oltre che talentuosa cantante e musicista, Faytinga non ci mette poi troppo a convertirsi in un'importante punto di riferimento per il suo popolo. All’inizio degli anni Novanta realizza un tour negli Stati Uniti ed in Europa con un piccolo gruppo a seguito, mentre qualche anno dopo ripete l’esperienza sola. Dopo la pubblicazione di un lavoro uscito (credo) solo su nastro nelle solite cassettine africane, il suo nome e la sua musica iniziano a circolare sempre più insistentente, e dopo aver prestato la propria collaborazione quà e là arriva persino a insignarsi di alcuni importanti riconoscimenti nell’ambito della musica africana . Nel 1999 esce finalmente per la Cobalt quello che viene considerato il suo primo disco vero e proprio, ''Numey'' (letteralmente: ‘’non interrompere il narratore’’) [ascolta] seguito nel 2006 da ''Eritrea'' [ascolta], album in cui Faitynga, iniziando dal titolo scolpito sulla copertina, esprime l’amore assoluto, ossessivo e del tutto reciproco per il suo paese.
Non è un caso, infatti, che tutti i brani vengano proposti nell’antica lingua kunama e che molti di questi siano stati registrati con la complicità di vecchi musicisti della famiglia Manka, anche se la cantante ha saputo incorporare rispettosamente sonorità e arrangiamenti moderni che rendono questo lavoro deliziosamente inclassificabile. Musicalmente, rispetto al precedente ''Numey'', Faytinga usa/osa anche una detonante chitarra elettrica quì e un impercettibile arrangiamento flamenco lì; ma guai a toccare il suo krar o spegnere il pianto del violino wata (strumenti che sono una costante nella musica dell’artista eritrea). Il suono è sodo e tirato, a cura del duo di produttori congo-parigini Madioko. Lei ci dispiega dentro il suo canto vetroso e le acidule ricette melodiche della tradizione: amore e guerra, il coraggio dei combattenti e quello degli amanti. Orgoglio kunama mescolato all’aria dell’altopiano di Asmara. La prova che quando le armi smettono di cantare, i cantanti tornano a fare il loro mestiere.