Correva l’anno 1977. La Repubblica di Kalakuta fondata da Fela Anikulapo Kuti (vedi il post a lui dedicato in questo blog) venne presa d’assalto da mille soldati mandati a Lagos dal regime nigeriano per soffocare (a cominciare dall'uccisione della vecchia madre) la voce contestataria di un musicista tra i più liberi e rispettati che l’Africa abbia mai avuto. Per il fondatore dell’Afrobeat, genere musicale a cavallo tra jazz, soul, funky e musica tradizionale yoruba (l’etnia maggioritaria della Nigeria), l’aggressione della giunta militare segnò il suo passaggio allo status di eroe nazionale.
Il 2 agosto del 1997, l'indomabile guerriero depose infine l'ascia di guerra. Là dove non era riuscito l'esercito nigeriano - che a lungo perseguitò la sua irriducibile dissidenza politica - riuscì il virus dell' Aids. Da allora, il mercato discografico è stato letteralmente invaso da un mare magnum di ristampe che hanno riportato alla luce il suo sterminato catalogo e tutto il funk nigeriano degli anni Settanta. La su figura, del resto, non smette di essere al centro di alcuni importanti eventi culturali: installazioni di arte contemporanea, film, seminari e concerti per celebrarne la musica e lo spirito. Ma l'eredità (artistica e morale) vera e propria hanno finito per contendersela due dei suoi tanti figli: Femi Kuti e Seun Kuti.
Femi |
Seun |
Femi Kuti
Femi Kuti (quarantasette anni, il maggiore dei due) è attivo musicalmnte dal 1986, quando suonava con la band dei Positive Force ed è autore di una formula che, seppur più attenta alla forma canzone, è molto fedele al sound del Presidente Nero (come veniva spesso chiamato il padre Fela). Tre album per la Barclay/Universal (senza prendere in considerazione ''Day By Day'' di cui ci occupiamo più nello specifico in questo post) l'anno consacrato come musicista talentuoso, capace di ritagliarsi uno spazio autonomo e autorevole a dispetto di molti problemi incontrati durante il suo cammino. Sempre nel solco paterno dell'afrobeat, ma attraverso una travagliata esperienza artistica e personale, Femi sembra aver finalmente trovato il suo equilibrio.
Ad aiutarlo ''Africa Shrine'' un live set del 2004 (, che non è un concerto qualsiasi, ma è anche la rinascita di un luogo, lo Shrine, storico club di Lagos in cui il padre Fela faceva convivere musica, spiritualità yoruba e panafricanismo in un unico flusso mistico)...
...e questo splendido nuovissimo “Day by Day” uscito a sette anni di distanza dal precedente “Fight to Win” e a quattro dalla pubblicazione, appunto, del live “Africa Shrine”. Femi si è dovuto impegnare parecchio per portare lo spettacolo di Shrine in giro per il mondo e non è riuscito a trovare la concentrazione necessaria per entrare in studio, a Parigi, fino all’estate del 2007, periodo che comunque Femi ha sfruttato al meglio dedicandolo ad approfondire la sua preparazione musicale (in particolare lo studio di piano e sax) e ai suoi (ben) sette figli.
Così, quando tutti lo davano per finito, schiacciato dal peso dei suoi demoni, perseguitato dalle nuove milizie del presidente Obasanjo e sorpassato in curva dal fratellino Seun ecco l'unica risposta buona, il colpo di coda di un artista fragile ma ispirato. Nell'album appare evidente come la lunga sosta abbia profondamente ispirato Femi che grazie alla musica riesce a trasmettere un entusiasmo contagioso. La sua perizia tecnica ha raggiunto quì livelli di eccellenza, finendo per allargare lo spettro sonoro in luoghi sempre più jazzy, con venature reggae e soul, ma pur sempre abbastanza fedele all'afrobeat paterno.
''Day by Day'' è la conferma del prodigioso talento artistico di Femi Kuti e bastano le prime note dell'iniziale ''Oyombo'' per capire l'aria che tira nel disco, la vitalità e la freschezza di questi splendidi brani. Tra tutti voglio citarne almeno uno, Better Ask Yourself, solo pechè è il pezzo più jazz che Femi abbia mai registrato e perchè rappresenta uno dei picchi emotivi del disco, un commovente grido di dolore anti-coloniale.
“Dovresti chiedere a te stesso perché nel continente più ricco di materie prime vive la maggioranza della gente più povera del mondo.
Dovresti chiedere a te stesso perché tutti sono interessati alle risorse dell’Africa.
Dovresti chiedere a te stesso quanti anni ancora sei disposto ad aspettare prima che un salvatore venga a salvarci.
Dovresti chiedere a te stesso perché mentre aspetti l'arrivo del salvatore le altre nazioni diventano sempre più ricche.
Dovresti chiedere a te stesso perché noi possediamo il petrolio ma questo non ci porta alcun beneficio.
Dovresti chiedere a te stesso perché aspettiamo un salvatore invece di fare qualcosa per rendere le nostre vite migliori.
Dovresti chiedere a te stesso perché ci raccontano solo cose negative riguardo ai nostri antenati.
Dovresti chiedere a te stesso se non sia meglio che i Cristiani e i Mussulmani vadano via dall’Africa.”
(You better ask yourself)
''Ci sentiamo, ci incrociamo, nulla di più. Purtroppo, la nostra relazione è stata condizionata dal suo entourrage. Dopo la morte di mio padre, persone che gravitavano attorno agli Egypt 80 (il gruppo di Fela Kuti, ndr) mi hanno letteralmente messo al bando. Sono nato a Londra e mia madre è bianca, dicevano che non ero un vero yoruba. Hanno quindi scelto Seun, che all’epoca aveva appena 16 anni e quindi facilmente condizionabile. Si è tenuto gli Egypt 80, mentre io sono diventato proprietario dello Shrine. Oggi siamo riconciliati, ma ognuno va avanti per la sua strada.'' Femi parla di Sean
Seun Kuti
Seun Kuti
L'eredità di Fela si diceva prima. Secondo molti è Seun (26 anni), il fratello minore di Femi, il nuovo messia dell'afrobeat. Al seguito del padre fin dall’età di nove anni, quando apriva i concerti in tournée, alla morte di Fela nel 1997 Seun, appena quindicenne, fu pronto ad assumere la leadership del suo leggendario ensemble, gli Egypt ’80, (un tempo di chiamava Africa '70), autentica ''macchina da guerra musicale'' che assembla ottoni, tastiere, percussioni, chitarra e voci per dare vita a un suono ipnotico, potente e ritmato, big-band le cui sessioni duravano talvolta intere nottate. Cantante e sassofonista carismatico, Seun raccoglie l’eredità musicale del padre e ne aggiorna il messaggio politico: "…voglio fare l’afrobeat per la mia generazione: invece che ‘alzati e cobatti’ il messaggio deve diventare ‘alzati e pensa’". Chi ha avuto la possibilità di assistere ai suoi live, giura che il ragazzo, oltre che la band, conserva intatta la potenza espressiva e il magnetimo del padre: maestoso e tormentato allo stesso tempo, quando è sulla scena si contorce in tutti i sensi, facendo impazzire la folla con il suo trascinante modo di cantare, ma arrivando alle coscenze attraverso le sue parole.
Il suo primo disco si intitola ''Many Things'' ed è uscito non più di un anno fa, prodotto dall'indipendente Tòt Ou Tard. Le sette canzoni che compongono l'album parlano di corruzione, brutalità del potere, educazione alla salute, bellezza africana... E poi c'è la musica, fatta di polifonie sincopate, bassi vertiginosi, ipnosi ritmiche che (grazie anche all'apporto di quella macchina perfetta che sono gli Egypt 80 guidati magistralmente dal settantenne mai pago Lekan Animasahun - detto Baba Ani -) trasporatano e coinvolgono l'ascoltatore.
''Tutti i generi musicali, prima o poi, hanno preso dall'afrobeat; e tutti i generi prima o poi passano di qui. Suono l'afrobeat per continuare a diffondere il messaggio di mio padre e per continuare la sua lotta: finchè è vissuto, è stato parte di un movimento internazionale di liberazione e ha rappresentato un fattore importante di avanguardia nella lotta per l'ugualianza di tutta l'umanità''. (Seun Kuti)
''Tutti i generi musicali, prima o poi, hanno preso dall'afrobeat; e tutti i generi prima o poi passano di qui. Suono l'afrobeat per continuare a diffondere il messaggio di mio padre e per continuare la sua lotta: finchè è vissuto, è stato parte di un movimento internazionale di liberazione e ha rappresentato un fattore importante di avanguardia nella lotta per l'ugualianza di tutta l'umanità''. (Seun Kuti)
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