''Grazie a voi che siete qui questa sera e grazie alla gente che mi ha invitato per fare questo, perchè per me è come un sogno. Ma per me è stato veramente un sogno essere vicino a Giulietta e Federico''
Caetano Veloso
Omaggio a Federico e Giulietta è uno splendido disco di Caetano Veloso che documenta una specie di serata tenutasi nel 1997, quando l'artista brasiliano, accolto con entusiasmo l'invito della sorella dello stesso Fellini, Maddalena, arrivò in Italia per bruciare in un solo concerto al teatro Nuovo di San Marino la sua dedica all'immaginario felliniano, preparando un recital speciale nel quale ha inserito anche brani ispirati alle musiche di Nino Rota, oltre al pezzo intitolato ''Giulietta Masina'' che Veloso scrisse nell'87 per l'album ''Caetano'' (''Pelle Bianca'' degli Avion Travel è l'adattamento italiano di questo brano).
C'era stata incertezza sulla pubblicazione. Da un lato era assurdo che Veloso lavorasse a un progetto di tale bellezza e lo risolvesse in una sola serata e per pochi intimi, dall'altro c'era stato un problema vocale. Anche se gli spettatori non se n'erano minimamente accorti, Caetano aveva avuto un abbassamento della voce a causa del gelo d'ottobre che aveva trovato in riviera, e non era soddisfatto dell'esito. Poi, riascoltando il materiale, si è deciso a pubblicare il concerto (meno male!!!) per la gioia di un pubblico di gran lunga superiore ai pochi fortunati presenti a quella serata. Federico e Giulietta è un disco che potrebbe essere letto come un omaggio all'Italia vista attraverso gli occhi di Fellini, attraverso l'umanità perdente e candida di Gelsomina, attraverso le musiche di Nino Rota. Come si trattasse di un nuovo ambasciatore (altro che Ramazzotti o Pausini) in gradi di portare nel mondo le nostre tradizioni e la nostra cultura, nel disco trovano spazio anche Come prima e Luna Rossa, uno dei classici della canzone partenopea riletta con pathos sublime e non in portoghese, ma in napoletano!!! (e qui si apre un'altro possibile collegamento con i già citati Avion Travel).
D'altronde sembra che Veloso si sia trovato perfettamente a suo agio con questi temi (e torniamo all'immaginario Felliniano) che sono stati parte integrante della sua formazione culturale e l'hanno aiutato a ''dare un senso alla voglia di scoprire il mondo dalla provincia bahiana, e insegnato come si può sognare la verità poetica che si nasconde dietro agli uomini''. Un amore, quello per Fellini e per il cinema italiano, esplicitamente dichiarato in più di un occasione dal grande cantautore di Santo Amaro (Bahia) e anche raccontato in alcune pagine del suo libro autobiografico Verità Tropicale:
''A Santo Amaro erano regolarmente in programmazione film francesi e italiani. Anche messicani. [...] All'inizio della nostra adolescenza, la principale attrattiva dei film francesi era rappresentata dalle intimità erotiche che contenevano: un seno di donna, una coppia sdraiata in un letto di ferro, esplicite allusioni alla vita sessuale dei personaggi - tutte queste cose, mai viste in un film americano, i film francesi le offrivano con naturalezza. Ma il cinema italiano, mentre il tempo passava e noi crescevamo, ci interessava sempre più a causa della sua "serietà": di fronte al neorealismo reagimmo con l'emozione di chi riconosce i tratti del quotidiano nelle immagini luminose e gigantesche delle sale cinematografiche. [...] Mi ricordo che Nicinha, la mia sorella maggiore, commentava come nei film americani se i personaggi scambiavano qualche parola seduti a tavola, la scena si spostava sempre prima che si portassero il cibo alla bocca e lo masticassero, mentre nei film italiani le persone mangiavano tranquillamente e a volte - adirittura - parlavano mentre mangiavano.
''Uno degli avvenimenti che maggiormente hanno segnato la mia formazione personale è stato la proiezione di ''La strada'' di Fellini, una domenica mattina al Cine Subaé (c'erano matinée tutte le domeniche, in questo che era il migliore - l'unico con il cinemascope - dei tre cinema di Santo Amaro). Piansi tutto il giorno, e non riuscii a mandar giù nemmeno un boccone. Da allora cominciammo a chiamare Minha Daia "Giulietta Masina". Il signor Agnelo Rato Grosso, un mulatto tarchiato e semianalfabeta che faceva il macellaio e suonava il trombone nella Lira degli Artisti (una delle due bande musicali della città - l'altra si chiamava Figli di Apollo), fu sorpreso da me, Chico Motta e Dasinho mentre piangeva all'uscita di un altro film di Fellini, ''I Vitelloni.'' Un po' imbarazzato, si soffiò il naso sul colletto della camicia e disse a mo' di giustificazione: "È proprio come la nostra vita!".
''Ma ciò che mi ha fatto piangere, e trascorrere un'intera giornata senza poter mangiare è stato constatare che Zampanò non guardava mai il cielo se non nella scena finale. Ripetutamente ho pensato con stupore: è la storia di un uomo che non ha mai visto il cielo e che lo guarda solo dopo essere stato distrutto. Le stelle di un pazzo, quelle che lui rincontrava nelle pietre e in Gelsomina, gli rivelano solo brutalità per l'assenza di ciò che non sapeva riconoscere: l'unico amore della sua vita, il suo destino. Ho trascorso tutta l'adolescenza sognando di parlare con Federico e Giulietta. In quelle conversazioni volevo scoprire il mistero della mia vita. Nei tardi pomeriggi ombreggiati passavo ore suonando la melodia de ''La strada'' al piano. In seguito abbiamo visto ''Le Notti di Cabiria'' dove la Masina si confermava matura ed esuberante: era veramente più di un volto, una entità, un'attrice straordinaria. E Fellini, un regista dal polso forte nelle scene affollate, autore di atmosfere urbane complesse e di onirici trasbordi. Ancora oggi considero ''Cabiria'' il film migliore da lui diretto.
''La Dolce Vita'' sarebbe stato il primo di una serie di film dove le caratteristiche di grandiosità erano destinate a rimanere. Era un film inquietante: lo vidi una decina di volte alla sua uscita a Salvador. Fu il più grande trionfo di Fellini, sembrava che le porte della creatività si fossero aperte e chiuse nello stesso film. Da quel momento in poi Fellini fece film in cui sembrava voler dimostrare di poter realizzare tutto ciò che voleva. Ma le produzioni possibili lo coinvolgevano in una strana specie di libertà. Una libertà reale che lo teneva in contatto col profondo della sua anima. Quella libertà non lo ha mai abbandonato; risorge inaspettatamente nella magia di ogni scena, nel rapporto tra suono e silenzio con i movimenti dei personaggi nella ispirata ricostruzione di una osservazione profonda di un aspetto della vita. Per me ciò è talmente vero da sembrare dipendere dalle esuberanze dei fantasmi e dalle bizzarrie che tutti aspettavamo uscire dai suoi film. Opere come ''E La Nave Va'' e ''Amarcord'' erano ai miei occhi perfette quanto ''Le Notti Di Cabiria'' e profonde quanto ''La Strada''. In effetti ''E La Nave Va'' è uno dei migliori film di fine secolo. [...] Il mio è un paese strano. Fellini era orgoglioso che il titolo ''La Strada'' fosse rimasto in versione originale in tutti i paesi. Non sapeva che in Brasile il titolo era stato cambiato, anche se non in maniera impertinente in ''Nella strada della vita''. Io faccio musica popolare e sono appassionato i cinema. La mia musica è piena di immagini prese dal grande schermo. Le immagini nascoste nel profondo del mio suono, quelle che sento più significative, sono tratte dai film di Fellini''.
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